Secondo la Corte dei Conti europea, l’Ue non raggiungerà gli obiettivi che si è posta per il riciclaggio degli imballaggi di plastica. Arrivare al 55% entro il 2030 sarà impossibile, a meno che i Paesi non incrementino i tassi di recupero. Perché i nuovi criteri di calcolo e un irrigidimento sull’esportazione dei rifiuti di plastica – che dal 2021 sarà vietata con la sola eccezione della plastica riciclabile e non contaminata – ridurranno per forza di cose il tasso di riciclaggio comunicato nell’Unione europea. Oltre ad aumentare il rischio di spedizioni illegali e reati legati ai rifiuti. Secondo la Corte, è necessaria “un’azione concertata” affinché si ottengano i risultati sperati in un periodo di 5-10 anni. “L’Ue deve invertire l’attuale situazione, nella quale le quantità incenerite sono maggiori di quelle riciclate” ha dichiarato Samo Jereb, membro della Corte dei conti europea responsabile dell’analisi. E questo senza considerare l’impatto del Covid, che ha riportato in auge i prodotti usa e getta.
LA STRATEGIA PER LA PLASTICA – Nell’analisi ‘L’azione dell’UE per affrontare il problema dei rifiuti di plastica”, pubblicata il 6 ottobre, la Corte ha esaminato le azioni adottate dall’Ue per affrontare il problema, con particolare riguardo ai rifiuti di imballaggio. I soli imballaggi, infatti, come i vasetti di yogurt o le bottiglie d’acqua o il packaging per la frutta, costituiscono circa il 40% della plastica utilizzata e oltre il 60% dei rifiuti di plastica prodotti nell’Unione europea. Si tratta, inoltre, del tipo di imballaggio con il più basso tasso di riciclaggio nell’Ue (di poco superiore al 40%). Per risolvere questo crescente problema, la Commissione europea nel 2018 ha adottato la strategia per la plastica, che prevedeva tra l’altro la modifica della direttiva sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio del 1994 e il raddoppio del target di riciclaggio dei rifiuti di imballaggio di plastica, che passa così al 50% entro il 2025 e al 55 % entro il 2030. Gli Stati membri sono liberi di conseguire tali obiettivi nel modo che ritengono più opportuno. In Italia, a settembre sono state recepite tre delle quattro direttive europee del ‘Pacchetto Economia circolare’, approvate a maggio 2018.
LA CORTE DEI CONTI: “SI INVERTA IL TREND” – Ma per raggiungere questi nuovi valori-obiettivo in materia di riciclaggio degli imballaggi di plastica, “l’Ue deve invertire l’attuale situazione, nella quale le quantità incenerite sono maggiori di quelle riciclate” ha dichiarato Samo Jereb, membro della Corte dei conti europea responsabile dell’analisi. E che questa sia una necessità lo dimostra il fatto che “facendo rinascere le abitudini dell’usa e getta – ha sottolineato Jereb – la pandemia di Covid-19 dimostra che la plastica continuerà ad essere un pilastro delle nostre economie, ma anche una minaccia ambientale sempre più grave”. Poiché la strategia è stata adottata solo di recente, al momento non è possibile valutarne l’impatto.
L’ANALISI DELLA CORTE TRA OPPORTUNITÀ E RISCHI – Nell’analisi, la Corte dei Conti europea illustra però i quadri Ue per la gestione dei rifiuti di plastica nei settori automobilistico, elettronico, edile e agricolo che costituiscono, nel loro insieme, il 22% dei rifiuti di plastica generati nell’Ue. “Attualmente – scrive la Corte – esistono obiettivi giuridicamente vincolanti per il riciclaggio degli imballaggi di plastica, ma non ve ne sono per i rifiuti di plastica derivanti dai settori dell’edilizia e dell’agricoltura”. I settori dell’industria automobilistica e delle apparecchiature elettriche ed elettroniche sono invece disciplinati da una legislazione distinta, tesa a gestire i rifiuti che essi generano “nella quale mancano però obiettivi di riciclaggio specifici per la plastica”. La Corte esamina anche gli strumenti di finanziamento di cui l’Unione dispone per sostenere gli sforzi degli Stati membri per il miglioramento della gestione dei rifiuti di plastica e mette in evidenza una serie di carenze, rischi, sfide e opportunità. A volte facce diverse della stessa medaglia.
I REQUISITI E LA RESPONSABILITA’ DEL PRODUTTORE – La Commissione sta programmando di modificare i requisiti essenziali a cui devono attenersi i produttori e che riguardano la fabbricazione e la composizione, nonché le procedure per il recupero di materia ed energia. Secondo uno studio svolto a febbraio 2020 per conto della Commissione Ue, infatti, al momento questi requisiti sono ritenuti “inapplicabili nella pratica”. E questo, osserva la Corte, potrebbe condurre a una migliore progettazione degli imballaggi a fini di riciclabilità, oltre che incentivare il riutilizzo. Tramite nuove norme, poi, l’Unione vuole armonizzare e potenziare i regimi di responsabilità estesa del produttore (EPR), in modo che essi promuovano la riciclabilità (ad esempio, mediante sistemi di modulazione degli oneri o persino sistemi di cauzione-rimborso) e non solo imballaggi più leggeri, come al momento prevede la maggior parte di questi regimi. Alcuni dei quali riguardano solamente gli imballaggi domestici, mentre altri comprendono anche gli imballaggi commerciali e industriali. Di fatto, finora, “una notevole carenza di dati, le difficoltà metodologiche di distinguere gli impatti dei regimi di responsabilità estesa del produttore da altri fattori e le sensibili differenze tra i sistemi utilizzati hanno impedito all’Ocse di valutare adeguatamente l’impatto di questi regimi”.
IL CALCOLO DEI TASSI DI RICICLAGGIO – “La modifica della direttiva sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio – spiega, inoltre, la Corte dei conti europea – ha introdotto criteri più rigidi per il calcolo dei tassi di riciclaggio. Le attuali cifre sono lungi dall’essere precise o confrontabili tra uno Stato membro e l’altro”. Quale effetto avrà questo? Il fatto che nuovi metodi di calcolo dovrebbero fornire un quadro più attendibile dell’effettiva percentuale di imballaggi di plastica che vengono riciclati fa ritenere ai magistrati contabili “che ciò potrebbe comportare una notevole diminuzione dei tassi di riciclaggio comunicati, che passerebbero dall’attuale 42% ad appena il 30%”. Non solo.
LO STOP AI RIFIUTI ALL’ESTERO – A breve dovrà essere applicata anche la recente Convenzione di Basilea, che fissa condizioni più rigide per l’invio di rifiuti di plastica all’estero. “Gli Stati membri dell’Ue – sottolinea la Corte dei Conti – fanno elevato ricorso a paesi non-Ue per gestire i propri rifiuti di imballaggio di plastica e raggiungere i rispettivi obiettivi di riciclaggio”. Di fatto, quasi un terzo del tasso di riciclaggio di imballaggi di plastica comunicato nell’Ue è ottenuto spedendo questi ultimi in paesi non-UE per farli riciclare. Gli esportatori devono dimostrare che i rifiuti sono trattati in condizioni simili a quelle vigenti nell’Ue. Gli Stati membri hanno sfruttato proprio questa opzione per spedire cospicue quantità di rifiuti di plastica in paesi d’oltremare e, in particolare, in Asia. Quando la Cina ha bloccato le importazioni, i Paesi di destinazione sono cambiati – hanno registrato un boom Thailandia, Taiwan e Indonesia – ma la prassi è rimasta. I rifiuti di imballaggio rappresentano una quota crescente delle esportazioni di rifiuti di plastica al di fuori dell’Ue: il 75 % nel 2017 rispetto al 43% nel 2012. A partire dal gennaio 2021, però, la maggior parte delle spedizioni di rifiuti di plastica sarà proibita. La Corte avverte che ciò, assieme alla carente capacità di trattare questo tipo di rifiuti nell’Ue non solo “costituisce un ulteriore rischio per il raggiungimento dei nuovi obiettivi”, ma rischia di far aumentare “le spedizioni illegali e i reati legati ai rifiuti, contro i quali il quadro dell’Ue è troppo debole”.