Virus ex machina (Ed. Mimesis, 278 pagg, 26 euro) è il quarto libro che raccoglie gli scritti meta-scientifici dei dottorandi che hanno frequentato le lezioni di Epistemologia della macchina tenute dal professor Vittorio Marchis al Politecnico di Torino. In particolare questo volume è stato scritto interamente durante il lockdown da ingegneri, architetti, designer, ma anche da medici e giuristi, che hanno riflettuto a partire dalle proprie esperienze di ricercatori calandole nel vissuto di questo periodo, e osando varcare i confini delle proprie discipline con rigore e immaginazione. Sullo schema di un nuovo Decameron, di cui ilfattoquotidiano.it pubblica l’introduzione di Marco Pozzi (che riprende uno stile arcaico), i testi sono redatti nelle più svariate forme espressive: saggi, racconti, disegni, giochi da tavola, sceneggiature, favole, ricordando che anche con la scienza si può giocare di immaginazione. È questo un esperimento unico nel nostro Paese, che, come nei passati “incontri con la macchina” (in precedenza, sempre per Mimesis, sono usciti gli Incontri con la macchina del 2018, i Nuovi incontri con la macchina del 2019 e l’Atlante degli incontri con la macchina del 2020) vuole aprire i confini tra le varie discipline, dove troppo spesso le logiche dei rapporti istituzionali bloccano, soprattutto nei giovani, la capacità di varcare le frontiere. Perché proprio al di là delle frontiere stanno le scoperte e le innovazioni. La entusiastica risposta dei giovani ricercatori alla provocazione nell’essere liberi di andare oltre gli ambiti delle proprie discipline dev’essere anche di monito a docenti e gente comune, a persone della politica e dello spettacolo, perché possano cogliere la valenza scientifica, e soprattutto morale, di quest’opera corale che sinora ha visto la partecipazione, in quattro anni, di oltre centocinquanta contributi originali. Il libro ha fatto la sua prima uscita nel FestivalFilosofia 2020 di Modena-Carpi-Sassuolo.
Vittorio Marchis ordinario di Storia della scienza e della tecnica al Politecnico di Torino, con un passato di docente e ricercatore di Ingegneria aerospaziale, ha al suo attivo alcune decine di monografie e parecchie centinaia di saggi e articoli. Autore e presentatore di rubriche radiofoniche e televisive per i canali nazionali della Rai, è stato ed è membro di diverse commissioni ministeriali, tra cui attualmente Ethics – Commissione per l’Etica della Ricerca e la Bioetica del CNR. Collabora con numerosi giornali e periodici. Da più di quindici anni svolge per il grande pubblico le sue “autopsie di macchine”, lezioni-spettacolo che narrano le storie contenute all’interno delle macchine che quotidianamente usiamo.
Marco Pozzi, suo collaboratore, iscritto alla Scuola di dottorato dell’Ateneo torinese, dopo la laurea in Ingegneria gestionale al Politecnico di Torino, prosegue da autodidatta alla ricerca di vocazioni. Studia autonomamente filosofia e psicanalisi; studia lingue straniere, lavorando come guida turistica a Parigi nella cattedrale di Notre-Dame. Cofondatore della compagnia teatrale i Benandanti, esplora la drammaturgia scrivendo animazioni e drammi originali. In piena libertà impara dai maestri dell’arte e del pensiero, innamorandosi di ogni forma di scrittura: scrive racconti, saggi, biografie su commissione, reportage di viaggio. Appassionato di cinema e sceneggiatura, ex giocatore di basket, dall’interesse per il giornalismo e l’attualità nasce il suo Italia, thriller politico sulla storia italiana dal dopoguerra.
Dall’introduzione di Marco Pozzi, Novo Decameron – Proemio
Fu nella città sabauda dell’egregia peninsula, che taluni architetti e ingegneri d’ogni sorta, e poi altri aggregati all’avventura, in mezzo a cotanta novità, in mezzo a eventi tanto eccezionali, vissero qualcosa d’eccezionale. Prima del flagello, a inizio semestre addivenne che nella venerabile facoltate Politecnica di corso Duca, trenta giovani si ritrovarono ad assistere a un corso che già da qualche anno preziosiva la conoscenza ne la città intera. Di parola in parola passata da studente a studente, molti accorrevano, poiché niuno corso v’era siffatto, che insieme ponea ogni disciplina con di scienza precisione e tensione di poesia; forse mai in vita futura da professionisti avuto avrebbero simil possibilitate. Dopo che un paio di lezioni si tennero, in certuna piccola aula, pandemia scoppiò. E univesitate fu chiusa, e città d’abitatori quasi vota addivenne, sì come dimandarono legge e virus.
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Così, mentre fuori l’orbe impazziva, costoro si rinchiusero nelle nozioni del loro curriculum e nella genialità de’ loro cuori, e s’immersero nello scrivere; decisero d’attender che fuori passasse la pestilenza, e s’attardaron a comporre novelle di pregio e a ragionar di esse. Avvezzi a li corridoii infra assai gente, costretti si trovaron all’util consiglio nosce te ipsum, per essere saper felici in una stanza con sé stessi. Fu in tale silenzio che gli uomini di scienza, piedi sotto la scrivania o terga sopra un cuscino, esploraron il mondo e sé stessi con codesti scritti, scavati nell’anomalia del tempo che in poche settimane sconvolse ‘l mondo. Partiron col lume in fronte, i loro pensieri più fertili di dottorandi, eccellenza del cursus studiorum; e forse, anzi certamente, senza ‘l gran flagello in strada mai costoro avrebbero percorso simili indagini, simili fantasie, simili scoperte, lo che forse un modo fu per loro di trovar un significato al privarsi a lungo d’ogni piacer mondano e d’ogni festa.
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Tiraron fuori da’ cassetti i lor vecchi testi di filosofia, manuali di storia, romanzi classici e raccolte di poesie; chi cercò su internetto, chi sfogliò biografie, chi giornali o riviste, o video sparsi, chi ricuperò i libri del liceo per ripassare ciò che s’era in fanciullezza molto a fondo studiato. Chi prese una china in mano, chi disegnò impressioni e fantasmagorie. Chi mai prima d’ora studiò a fondo gli appunti da ingegnere o d’architetto, finora per un voto d’esami usati soltanto, e soltanto ora invece capiti per suscitar idee novelle, anzi che per un (piccolo) voto d’esame. Pensarono, studiarono, calcolarono come mai prima; immaginarono, composero, sperimentarono come mai prima.
Così, mentre lavoravan a riscoprire il mondo, e man mano che li lavori si terminavano e dalla mente alla mano internamente passavano conclusi sul foglio, ecco, gli ingegneri e gli architetti si trovarono per condividere il sapere, come sempre si conviene all’uomo di scienza. Esperimento sociale fu, condividere solitudini collettivamente. Che fosse con Virtual Room o Skype, o qualunque altro ingegno, risolsero di vedersi ogni giorno, alla medesima ora, poco prima del tramonto e subito dopo che le autoritate dessero in diffusione il conteggio de’ morti, e leggersi uno alla volta la propria novella, dandosi vicendevole diletto.
E così fecero.
Comiciaron una sera prestabilita, con ‘l rituale de l’orario da lezione, e che ‘l rituale proseguisse ne’ giorni a venire infino a che tutti avessero parlato, scambiando ciò che del mondo traverso lo proprio sapere avean osservato, e che con parole e talun disegno ne facean opera a metà fra scienza e arte. Ognuno da la sua propria residenza, leggea a turno per scambiar sì la teoria da scienziato sì la bellezza d’artista. Perché, per scienziati come per artisti, gran pregio fa scambiarsi idee quand’ancor germogliano nel pensiero o l’opera ove codeste son sbocciate; poiché ciascun dall’uno e dall’altro apprende, e traverso ‘l vicendevole baratto ciascun migliora grandemente, prosperando in prospero ambiente.
Dunque, dopo ore in solitudine o noia, senza poter uscire in strada che parea esclusivo regno de la pestilenza, si parlaron collegati a Virtual Room, in bello e fresco stare secondo che all’animo gli è più di piacere, con spirito che s’ha in uno pratello, nel quale l’erba era verde e grande né vi poteva d’alcuna parte il sole, e quivi sentendo venire un soave venticello, e ci pone in cerchio a sedere.
E rivolti alla prima giovin studentessa, la quale alla destra appariva in videoconferenza, il gentil professore e suo collaborator piacevolmente dissero che con una delle sue novelle e ragionamenti agli altri desse principio; laonde costei, udito il comandamento, prestamente, essendo da tutti ascoltata, cominciò così.