Non c’è dubbio che il verminaio portato alla luce in Vaticano dallo scandalo Becciu abbia schiacciato nell’attenzione dell’opinione pubblica la nuova enciclica di papa Francesco, che ciò nonostante camminerà validamente nei prossimi anni perché il suo pensiero è potente. Ma per il momento la catastrofe mediatica per lo scandalo soverchia tutto.

Nel frattempo la saga delle malversazioni ai piani alti del palazzo apostolico si arricchisce di nuovi capitoli. I lupi che scarnificano le finanze vaticane hanno agito indisturbati per anni e il danno procurato alla Chiesa e a Francesco è grave. Eppure proprio il disastro evidente deve spingere i fautori della linea riformatrice del pontefice a chiedersi se anche Francesco non abbia commesso degli errori. L’icona del “Papa ingannato” non è sufficiente per spiegare la complessità della situazione.

La Chiesa cattolica è un’organizzazione di un miliardo e trecento milioni di aderenti, presente nei cinque continenti. Chi è al suo vertice – proprio perché è in corso una guerra civile in cui gli avversari conservatori sono accaniti e i sabotatori abbondano – deve interrogarsi continuamente se abbia schierato le sue truppe nel modo più attento e se tutte le sue mosse abbiano avuto buon esito.

Francesco esorta spesso vescovi e cardinali alla parresia. E’ una parola greca che indica il “franco parlare”. In questi giorni non pochi suoi sostenitori vorrebbero parlare dei suoi errori.

Che sono cinque.

1) Il 29 giugno 2017, alla notizia del suo rinvio a giudizio in Australia per presunti atti di pedofilia (da cui verrà assolto questo anno), Francesco manda in congedo il cardinale George Pell, prefetto del Segretariato per l’Economia. Decisione impeccabile. Ma il Papa commette l’errore di non nominare immediatamente al suo posto un capo dicastero ad interim altrettanto energico.

Tutti sanno, infatti, che Pell si è procurato numerosi nemici in Vaticano poiché non tollerava feudi finanziari indipendenti e chiedeva, come da suo mandato, di esercitare un controllo rigoroso in merito alla trasparenza dell’impiego dei fondi gestiti dalle varie amministrazioni della Santa Sede. La decisione papale di lasciare che il Segretariato si limitasse per due lunghi anni all’ordinaria amministrazione, affidando ai segretari del dicastero il “disbrigo degli affari ordinari” (comunicato ufficiale della Sala stampa vaticana), ha mandato agli uomini di potere della burocrazia vaticana il segnale che era arrivata l’ora di sopire l’inquietudine suscitata dal rude attivismo di Pell.

Un segnale doppiamente sbagliato, sia perché ha portato ad un arresto dell’azione riformista sia perché non ha tenuto conto del fatto che anche una parte di cardinali conservatori – comprese personalità vicine a Ratzinger – erano d’accordo su un’operazione di pulizia.

2) Nello stesso mese di giugno 2017 viene cacciato il Revisore generale vaticano: Libero Milone, un professionista dal curriculum impeccabile. Anche lui si era accorto che il suo sforzo di fare chiarezza sui conti delle amministrazioni vaticane veniva sabotato. L’allora Sostituto Angelo Becciu lo convoca su due piedi e gli comunica che non gode più della fiducia del Papa. Il comandante della gendarmeria Domenico Giani minaccia di arrestarlo. Dovrebbe confessare di essere responsabile di una distrazione di fondi e di avere affidato ad un’agenzia esterna indagini sulla vita privata di esponenti della Santa Sede.

Un anno dopo il tribunale vaticano è costretto a certificare che non è stato aperto nessun fascicolo nei suoi confronti: nessuna indagine, nessuna condanna. Milone è pulito.

Milone ha mandato una lettera al Papa attraverso un canale sicuro per spiegargli di essere vittima di una montatura. Dal pontefice non è arrivata mai una risposta. Milone poteva raccontare molte cose a Francesco. Dandogli udienza, il Papa si sarebbe potuto fare un’idea più realistica delle resistenze e dei rischi di deviazioni da parte degli apparati vaticani.

3) Nel 2013 Francesco crea il Consiglio dei cardinali. Nove porporati di tutte le parti del mondo e di diverse tendenze ecclesiali, che non hanno solo l’incarico di studiare la riforma della Curia. Il Papa specifica che hanno il “compito di aiutarmi nel governo della Chiesa universale”.

E’ una grande novità, che supera l’immagine del pontefice come monarca assoluto. Il Papa definisce l’organismo un’espressione della “comunione episcopale” e dell’ “ausilio” che l’episcopato mondiale può dare alla funzione papale.

Da due anni il Consiglio è monco. Ne sono stati allontanati l’australiano George Pell, il cileno Francisco Javier Errazuriz (responsabile di non avere informato il pontefice sui retroscena dello scandalo di abusi Karadima-Barros) e il congolese Laurent Mosengwo. Non è chiaro perché il Consiglio non sia stato reintegrato. La grande crisi della malversazione dei fondi segreti vaticani e dell’Obolo di San Pietro, che si trascina da un anno, rafforza semmai la funzione di un organo ecclesiale a composizione internazionale con cui il Papa possa consultarsi.

4) Francesco ha inaugurato una linea di grande chiarezza comunicativa. Non solo con documenti, ma con parole e gesti – apparentemente semplici e tuttavia espressione di una precisa complessità teologica o dotati di una chiara valenza di politica ecclesiale.
Che a luglio due protagonisti dello scandalo, funzionari attivi nel cuore del governo centrale della Chiesa, i monsignori Mauro Carlino ed Alberto Perlasca siano stati radiati dal servizio diplomatico della Santa Sede e rimandati nelle rispettive diocesi non può avvenire alla chetichella senza un comunicato ufficiale, rivelato per via indiretta da Avvenire. In queste situazioni una comunicazione trasparente è tutto.

Come non capire ad esempio che la decisione inedita di trasferire le liquidità dei vari dicasteri vaticani sotto il controllo di una sola centrale, l’Apsa (Amministrazione patrimonio sede apostolica), assume in questa crisi una valenza diversa a seconda che appaia su un articolo-intervista sull’Osservatore Romano o che sia comunicata di fronte alla stampa da alti responsabili vaticani per chiarire tutte le sue implicazioni?

5) Quando papa Francesco ha deciso di silurare il cardinale Becciu, destituendolo da prefetto della congregazione per le Cause dei santi e cacciandolo dal collegio cardinalizio, non ha informato il segretario di Stato cardinale Pietro Parolin né prima né dopo. La notizia che Parolin ha appreso della decapitazione di Becciu dai telegiornali non ha ricevuto smentita.

Il Segretario di Stato è – sotto la guida e l’autorità del pontefice – il responsabile di una macchina che coinvolge un miliardo e trecento milioni di fedeli. Parolin è una personalità più che leale, fedele alla linea riformatrice di Francesco e ispirato ad grande sentimento religioso. Non informarlo in anticipo è impensabile.

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