di Ani Vardanyan*
Lo scorso 27 settembre il mondo ha assistito ad una massiccia offensiva militare lanciata dalle forze armate dell’Azerbaijan contro Artsakh (Nagorno Karabakh). Ormai sono passati dieci giorni e diventano sempre più aggressivi e violenti gli attacchi incessanti dell’esercito azero, i quali vengono respinti istantaneamente dalle truppe armene.
Nonostante i diversi avvertimenti del Governo armeno le truppe azere continuano a tenere sotto attacco gli insediamenti civili, tra cui la capitale Stepanakert causando numerose vittime. Ci sono ampie prove del fatto che le forze armate dell’Azerbaijan utilizzano missili di lungo raggio che possono causare disastri umanitari e ambientali. Il Ministero della Difesa armeno ha denunciato l’uso di bombe a grappolo, vietato dalle leggi internazionali. In seguito la notizia è stata confermata da Amnesty International.
Le truppe azere continuano gli attacchi su larga scala lungo tutto il confine dell’Artsakh assistiti maggiormente dalla Turchia. L’Azerbaijan agisce con il pieno sostegno della Turchia, il suo partner militare, che oltre ad aver messo a disposizione militari di alto rango e soldati assiste l’Azerbaijan anche con armi e aerei militari.
Il ruolo della Turchia non si limita al diretto coinvolgimento delle proprie truppe nel conflitto. Il partner militare dell’Azerbaijan avrebbe organizzato e trasferito ai confini dell’Artsakh un gruppo di terroristi militanti. Alcuni paesi, come la Francia – seguita dalla Russia e dagli Stati Uniti – hanno dichiarato di avere informazioni confermate che centinaia di militanti (secondo altre fonti il numero supera i 4000) sono stati trasferiti in Azerbaijan per combattere contro gli armeni.
La Turchia ha obiettivi ben chiari: destabilizzare la regione e continuare i massacri degli armeni cominciati più di cento anni fa. Insieme alla sua presenza destabilizzante in Libia, in Siria e nel Mar Mediterraneo, la Turchia prosegue con la sua politica distruttiva coinvolgendo anche il Caucaso e incoraggiando l’odio nei confronti degli armeni. Con lo scopo di rafforzare la sua presenza nel territorio e aumentare l’influenza “ottomana” la Turchia non sembra volersi fermare davanti a nulla.
Il 3 ottobre nel suo messaggio diretto al popolo armeno il premier Pashinyan ha detto: “L’obiettivo perseguito dai banditi azeri e turchi non è solamente risolvere un compito militare o militare-politico. Loro non sono qui per occuparsi del Karabakh o della questione del Karabakh. Non sono venuti con l’obiettivo di catturare nuovi territori, villaggi e città. Il loro obiettivo principale è il popolo armeno. Il loro obiettivo è portare avanti la loro polita genocida. E loro si sono posti il compito di portare a compimento il genocidio armeno”. Durante l’intervista con il giornalista del quotidiano Bild, Nikol Pashinyan ha avvertito dell’enorme pericolo e della minaccia che la Turchia rappresenta per tutto il mondo. “Nel caso la comunità internazionale non valuti il significato geopolitico di questa situazione l’Europa deve aspettare la Turchia alle porte di Vienna”.
Questo messaggio del premier armeno è molto chiaro e senza mezzi termini. Purtroppo molti paesi europei danno l’impressione di non essere consapevoli o di non valutare adeguatamente gli obiettivi militari di Erdogan, invece la politica adottata dal presidente turco lascia poco spazio all’immaginazione. La politica di Erdogan è violenta, destabilizzante e imperialistica, mette a rischio la pace – non solo in Caucaso. E proprio adesso il mondo deve finalmente agire.
La comunità internazionale deve far sì che il ciclone del panturchismo non travolga il mondo. La comunità internazionale ha il dovere di agire immediatamente condannando fermamente l’aggressione e la violenza scatenata dall’Azerbaijan e la Turchia. Di questo l’Italia deve essere partecipe; invece il governo italiano sembra non affrettarsi. Giorni fa durante i lavori del Consiglio europeo straordinario il premier italiano Giuseppe Conte ha dichiarato: “Auspichiamo assolutamente una de-escalation, tutti i soggetti coinvolti devono evitare una spirale di violenza, un conflitto militare che ovviamente non può giovare a tutte le popolazioni interessate”.
La dichiarazione del premier Conte è indubbiamente importante ma purtroppo non sufficiente. È opportuno mettere in evidenza il fatto che una de-escalation spesso diventa possibile quando si fa una chiara distinzione tra le due parti coinvolti nel conflitto pronunciando con chiarezza il nome del paese aggressore. È essenziale che l’Italia dia un messaggio forte e chiaro all’alleanza turco-azera responsabile dell’escalation, e che sia più decisa ad agire in maniera concreta, prendendo misure effettive per fermare l’Azerbaijan e la Turchia.
*Docente di lingua italiana all’Università Brusov di Yerevan e all’Università Americana in Armenia, collabora per alcune testate armene e italiane