Roger Penrose, che ha dimostrato che i buchi neri sono una diretta conseguenza della teoria della relatività generale di Albert Einstein anche se l’ottimo non credeva che potessero esistere. Nessuno è perfetto. Reinhard Genzel e Andrea Ghezche, che sono stati i primi a fare “vedere” i buchi neri super-massici. Guidano ciascuno un gruppo di astronomi che, dall’inizio degli anni ’90, si è concentrato sulla regione chiamata Sagittarius A* (Sgr A*) al centro della nostra galassia per mappare, cosa non banale visto che il centro galattico è nascosto da nuvole di gas e polveri, la stella nota come S2 o S0-2, scelta perché , orbitando intorno a qualcosa, è la più vicina al centro galattico.

Utilizzando i telescopi più grandi del mondo, i quattro telescopi da 8 metri del Very Large Telescope europeo nel caso di Genzel e i due telescopi Keck da 10 metri per Ghez, sviluppando rilevatori a infrarossi a circa 2 micrometri di nuova generazione, penetrano la nebbia, non troppo disturbati dal passaggio dell’atmosfera terrestre e localizzano la stella in modo relativamente preciso. Nel 2002, i ricercatori osservano che l’orbita ellittica di S2 sembra raggiungere il suo punto più vicino a Sgr A*: 20 miliardi di chilometri o 17 ore luce.

Le squadre hanno finalmente un’orbita da cui, tramite semplice meccanica newtoniana, trarre conclusioni sull’oggetto invisibile: deve pesare l’equivalente di 4 milioni di Soli ed essere un oggetto molto concentrato. I team continuano a seguire S2. Nel 2018 secondo incontro ravvicinato. Utilizzano i dati raccolti per test sempre più rigorosi e dimostrano che l’oggetto invisibile intorno a cui orbita S2 ha massa pari a circa 4 milioni di masse solari.

Trattasi di buco nero super-massiccio che attira le stelle, facendole correre intorno a esso a velocità vertiginose. S2 viaggia a 5000 chilometri al secondo (18milioni di chilometri all’ora), il 3% della velocità della luce. Deducono trattarsi di un buco nero piuttosto piccolo: il diametro del suo orizzonte degli eventi (44 milioni di chilometri) è quasi uguale a quello dell’orbita di Mercurio (46 milioni di chilometri). Risultati che giustificano il Nobel condiviso.

La ricerca non è conclusa. I ricercatori vogliono prove ancora più dirette dell’esistenza degli Smbh. Nel 2019, gli astronomi che utilizzano l’Event Horizon Telescope (Eht), collaborazione internazionale che collega in rete otto radiotelescopi terrestri in una singola parabola delle dimensioni della Terra, ricostruiscono per la prima volta l’immagine di un buco nero super-massiccio. Si trova nel cuore della galassia M87, situata a circa 55 milioni di anni luce di distanza. Pesa più di 6 miliardi di masse solari. Il suo orizzonte degli eventi si estende così tanto da poter comprendere gran parte del nostro sistema solare, ben oltre i pianeti.
Si attendono ulteriori sviluppi.

Andrea Ghez è solo la quarta donna in assoluto (Andrea in molte lingue è nome femminile) a vincere un premio Nobel per la Fisica e la seconda negli ultimi 3 anni. A 55 anni, Ghez è anche una laureata Nobel relativamente giovane. Penrose, 89 anni, è tra i più anziani, ma non ha rimpianti di aver aspettato così tanto. “Conosco persone che hanno ottenuto un Nobel troppo presto e questo ha rovinato la loro scienza”, dice, “penso di essere abbastanza vecchio. ora.” La storia continua…

INDIETRO

Nobel per la Fisica 2020: finalmente ‘vediamo’ i buchi neri. E dire che Einstein non ci credeva

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Articolo Precedente

Nobel per chimica a Emmanuelle Charpentier e Jennifer Doudna: hanno scoperto la tecnica del “taglia-incolla” del Dna

next
Articolo Successivo

Coronavirus, le mascherine proteggerebbero anche il portatore: l’ipotesi è promettente

next