Donald Trump, rientrato alla Casa Bianca dopo il ricovero per Covid, ha dato ordine ai suoi di fermare fino alle elezioni le trattative con i democratici su un nuovo pacchetto di aiuti alla popolazione perché “dopo la mia vittoria approveremo una grande legge di stimolo“. Per lo sfidante Joe Biden “ha voltato le spalle agli americani”. Che, nonostante la propaganda delle statistiche occupazionali parzialmente smentite dalle istituzioni stesse, hanno sempre più difficoltà a coprire spese di base come quella della casa. In mancanza delle protezioni normative si moltiplicano gli sfratti, e al tempo del coronavirus la condizione dei senza tetto è già diventata esplosiva. In California si sperimentano misure temporanee come la trasformazione degli hotel in alloggi per gli homeless. E la questione abitativa rischia di diventare il primo duro banco di prova per il prossimo presidente.
Il Cares Act, che aveva garantito un cospicuo aumento dei sussidi di disoccupazione e 1.200 dollari ad ogni americano, è scaduto a fine luglio. Con il voto ormai alle porte, l’approvazione di un nuovo pacchetto di aiuti caldeggiato anche dal presidente della Fed Jerome Powell è ostaggio della tattica elettorale. I democratici, che controllano la Camera, avevano proposto un nuovo Heroes Act da 2,2 trilioni di dollari, 1 trilione in meno della precedente proposta. Lontano dalla volontà di spesa dei repubblicani che controllano il Senato e la Casa Bianca e non intendevano dare il via a un pacchetto che superasse 1,5 trilioni di dollari. Questo fino al coup de théâtre di Trump, che ha bloccato tutto. Si dice in compenso pronto a firmare un nuovo ordine esecutivo dopo quelli firmati ad agosto, che però non hanno portato liquidità nelle tasche dei contribuenti.
Le statistiche ufficiali dicono che negli ultimi mesi gli americani sono ritornati in gran parte al lavoro. Ad agosto la disoccupazione si è ridotta dal 10,2% all’8,4 per cento. Ma le nuove assunzioni sono rallentate. A luglio i posti di lavoro erano cresciuti di 1,7 milioni, ad agosto le nuove persone al lavoro sono aumentate di 1,4 milioni. I disoccupati, secondo il Bureau of Labor Statistics, si sono invece ridotti di ben 2,8 milioni. Come è possibile? La risposta va ricercata nelle metodologie di calcolo. Come in Italia, la misura della disoccupazione è basata su interviste in cui viene chiesto alle persone se abbiano cercato attivamente lavoro nelle ultime quattro settimane. Se una persona dichiara di non aver cercato un impiego o non ha potuto lavorare nel breve periodo per ragioni familiari, ufficialmente è fuori dalla forza lavoro. E se è fuori dalla forza lavoro, non può essere disoccupata.
Le diatribe sui dati dell’occupazione vanno avanti dallo scorso maggio, quando furono registrati ufficialmente 21 milioni di disoccupati, a fronte di quasi 30 milioni di assegni di disoccupazione. Tra questi si segnalavano interruzioni temporanee di lavoro, diventate permanenti a causa dell’emergenza, lavori part-time che in alcuni Stati consentono di avere accesso ai benefit della disoccupazione, e congedi e aspettative, i cui titolari erano considerati “occupati ma assenti dal lavoro”. Il Bureau of Labor Statistics ha riconosciuto diversi errori di conteggio e classificazione, ma ha lasciato inalterati i propri dati. A maggio, per esempio, la disoccupazione è stata ufficialmente in calo al 13,3%, dal 14,7% di aprile. Secondo il centro di ricerca Brookings, tuttavia, il tasso avrebbe dovuto superare il 17%, avvicinandosi a quanto previsto dal consensus degli economisti. Non una mera disputa accademica o ideologica, bensì una differenza sostanziale nell’interpretazione della realtà, che a giugno portò il Congresso a ritardare il rinnovo degli aiuti, e Trump a celebrare i mesi a venire, predicendo “un luglio molto buono, un agosto molto buono e un settembre spettacolare”.
Le difficoltà in cui versa il Paese a stelle e strisce si rivelano oggi sulla questione della casa, per la quale agosto è stato un mese sintomatico. A fine luglio sono scadute le disposizioni del Cares Act che, bloccando gli sfratti e garantendo i sussidi, ha evitato che molte famiglie finissero in strada. Nelle scorse settimane un ordine esecutivo firmato da Trump ha promosso una moratoria contro gli sfratti per tutto il 2020 per coloro che guadagnano meno di 99.000 dollari all’anno e rispondono a determinati requisiti. Una misura palliativa che non è accompagnata da sussidi per sostenere il peso degli affitti. Ma è bastata per fermare l’ondata di sfratti che era partita nelle settimane precedenti, secondo quanto registrato dalle indagini dell’Eviction Lab dell’Università di Princeton che estrae i dati dai registri dei tribunali, e monitora la situazione in 17 grandi e medie città, tra cui Houston, Phoenix e Boston. Nella finestra temporale in cui è mancata la protezione normativa gli sfratti si sono impennati, secondo i ricercatori. A Richmond, per esempio, le dichiarazioni di sfratto registrate nella prima settimana di settembre sono state oltre quattro volte quelle normalmente osservate negli anni scorsi.
Nella seconda metà di agosto, ha rilevato il Census Bureau, più di un quarto degli affittuari ha dichiarato di non pensare di riuscire a pagare il mese di settembre. Il Centers for Disease Control and Prevention, agenzia federale che si occupa di sanità e servizi alla persona, e il Department of Health, si occuperanno del rispetto della nuova moratoria, per evitare che le famiglie sfrattate vadano a vivere in strada durante una pandemia non ancora sotto controllo. Una situazione potenzialmente esplosiva, che prende avvio da lontano e che senza un nuovo pacchetto di aiuti vedrà gli sfratti essere solo rimandati. Nel 2016 sono stati 3,7 milioni, sette ogni minuto, al netto degli allontanamenti informali o illegali. Secondo la National Coalition for the Homeless, 20 milioni di americani già prima del Covid spendevano tutto quello che guadagnavano ogni mese e in caso di imprevisti erano esposti al rischio di ritrovarsi senza casa a un certo punto della vita. Con la pandemia il numero può aumentare di molto.
In California negli ultimi anni il numero delle famiglie senza casa è cresciuto moltissimo e nel rapporto “The State of Homelessness in America” diffuso nel settembre 2019 dal Council of Economic Advisers della Casa Bianca venivano sottolineati i problemi che affliggono in particolare Los Angeles, imputando la responsabilità per la delicata situazione alle amministrazioni locali democratiche, auspicando un’azione più decisa da parte delle forze dell’ordine. Nel rapporto si affermava che “politiche tese ad arrestare persone solo perché sono senza tetto sono sbagliate e disumane. Allo stesso tempo la polizia può avere un ruolo importante per aiutare a rimuoverle dalle strade per andare in centri di accoglienza”.
L’opportunità di una tale politica quest’anno è stata superata dall’emergenza sanitaria, che ha posto nuovi problemi, ma ha favorito anche nuove idee. Lo scorso aprile il maggiore centro di accoglienza di San Francisco si è trasformato in un focolaio, registrando più di 100 persone tra ospiti e staff positive al Covid-19. Ma in qualche modo era già pronta una soluzione, con il progetto Roomkey, poi diventato Homekey, lanciato dal governatore della California Gavin Newsom la settimana precedente. Tale programma, che utilizza i fondi del Cares Act, intende trasformare camere di albergo in alloggi permanenti per i senza tetto, e in poche settimane è diventato operativo: al momento raccoglie 16.500 stanze, di cui 11.600 già occupate. Un’idea sostenuta da organizzazioni e gruppi di advocacy, che nel frattempo hanno promosso la campagna “No Vacancy California”, per offrire un alloggio a tutti gli oltre 151.000 senza tetto californiani.
Mondo
Usa, il nuovo pacchetto di aiuti per il Covid bloccato da Trump fino alle elezioni. Così aumentano gli sfratti e gli homeless
I democratici hanno proposto un nuovo Heroes Act da 2,2 trilioni di dollari, i repubblicani non intendevano superare gli 1,5 trilioni. Ma ora il presidente ha fermato le trattative. Intanto i numeri ufficiali sulla disoccupazione finiscono sotto la lente di ingrandimento per errori di conteggio e classificazione. E in agosto più di un quarto degli affittuari aveva dichiarato di non poter pagare il mese di settembre. Trump ha rinnovato la moratoria sugli sfratti, ma è un palliativo. La California ha iniziato a trasformare camere di hotel in alloggi per i senza tetto
Donald Trump, rientrato alla Casa Bianca dopo il ricovero per Covid, ha dato ordine ai suoi di fermare fino alle elezioni le trattative con i democratici su un nuovo pacchetto di aiuti alla popolazione perché “dopo la mia vittoria approveremo una grande legge di stimolo“. Per lo sfidante Joe Biden “ha voltato le spalle agli americani”. Che, nonostante la propaganda delle statistiche occupazionali parzialmente smentite dalle istituzioni stesse, hanno sempre più difficoltà a coprire spese di base come quella della casa. In mancanza delle protezioni normative si moltiplicano gli sfratti, e al tempo del coronavirus la condizione dei senza tetto è già diventata esplosiva. In California si sperimentano misure temporanee come la trasformazione degli hotel in alloggi per gli homeless. E la questione abitativa rischia di diventare il primo duro banco di prova per il prossimo presidente.
Il Cares Act, che aveva garantito un cospicuo aumento dei sussidi di disoccupazione e 1.200 dollari ad ogni americano, è scaduto a fine luglio. Con il voto ormai alle porte, l’approvazione di un nuovo pacchetto di aiuti caldeggiato anche dal presidente della Fed Jerome Powell è ostaggio della tattica elettorale. I democratici, che controllano la Camera, avevano proposto un nuovo Heroes Act da 2,2 trilioni di dollari, 1 trilione in meno della precedente proposta. Lontano dalla volontà di spesa dei repubblicani che controllano il Senato e la Casa Bianca e non intendevano dare il via a un pacchetto che superasse 1,5 trilioni di dollari. Questo fino al coup de théâtre di Trump, che ha bloccato tutto. Si dice in compenso pronto a firmare un nuovo ordine esecutivo dopo quelli firmati ad agosto, che però non hanno portato liquidità nelle tasche dei contribuenti.
Le statistiche ufficiali dicono che negli ultimi mesi gli americani sono ritornati in gran parte al lavoro. Ad agosto la disoccupazione si è ridotta dal 10,2% all’8,4 per cento. Ma le nuove assunzioni sono rallentate. A luglio i posti di lavoro erano cresciuti di 1,7 milioni, ad agosto le nuove persone al lavoro sono aumentate di 1,4 milioni. I disoccupati, secondo il Bureau of Labor Statistics, si sono invece ridotti di ben 2,8 milioni. Come è possibile? La risposta va ricercata nelle metodologie di calcolo. Come in Italia, la misura della disoccupazione è basata su interviste in cui viene chiesto alle persone se abbiano cercato attivamente lavoro nelle ultime quattro settimane. Se una persona dichiara di non aver cercato un impiego o non ha potuto lavorare nel breve periodo per ragioni familiari, ufficialmente è fuori dalla forza lavoro. E se è fuori dalla forza lavoro, non può essere disoccupata.
Le diatribe sui dati dell’occupazione vanno avanti dallo scorso maggio, quando furono registrati ufficialmente 21 milioni di disoccupati, a fronte di quasi 30 milioni di assegni di disoccupazione. Tra questi si segnalavano interruzioni temporanee di lavoro, diventate permanenti a causa dell’emergenza, lavori part-time che in alcuni Stati consentono di avere accesso ai benefit della disoccupazione, e congedi e aspettative, i cui titolari erano considerati “occupati ma assenti dal lavoro”. Il Bureau of Labor Statistics ha riconosciuto diversi errori di conteggio e classificazione, ma ha lasciato inalterati i propri dati. A maggio, per esempio, la disoccupazione è stata ufficialmente in calo al 13,3%, dal 14,7% di aprile. Secondo il centro di ricerca Brookings, tuttavia, il tasso avrebbe dovuto superare il 17%, avvicinandosi a quanto previsto dal consensus degli economisti. Non una mera disputa accademica o ideologica, bensì una differenza sostanziale nell’interpretazione della realtà, che a giugno portò il Congresso a ritardare il rinnovo degli aiuti, e Trump a celebrare i mesi a venire, predicendo “un luglio molto buono, un agosto molto buono e un settembre spettacolare”.
Le difficoltà in cui versa il Paese a stelle e strisce si rivelano oggi sulla questione della casa, per la quale agosto è stato un mese sintomatico. A fine luglio sono scadute le disposizioni del Cares Act che, bloccando gli sfratti e garantendo i sussidi, ha evitato che molte famiglie finissero in strada. Nelle scorse settimane un ordine esecutivo firmato da Trump ha promosso una moratoria contro gli sfratti per tutto il 2020 per coloro che guadagnano meno di 99.000 dollari all’anno e rispondono a determinati requisiti. Una misura palliativa che non è accompagnata da sussidi per sostenere il peso degli affitti. Ma è bastata per fermare l’ondata di sfratti che era partita nelle settimane precedenti, secondo quanto registrato dalle indagini dell’Eviction Lab dell’Università di Princeton che estrae i dati dai registri dei tribunali, e monitora la situazione in 17 grandi e medie città, tra cui Houston, Phoenix e Boston. Nella finestra temporale in cui è mancata la protezione normativa gli sfratti si sono impennati, secondo i ricercatori. A Richmond, per esempio, le dichiarazioni di sfratto registrate nella prima settimana di settembre sono state oltre quattro volte quelle normalmente osservate negli anni scorsi.
Nella seconda metà di agosto, ha rilevato il Census Bureau, più di un quarto degli affittuari ha dichiarato di non pensare di riuscire a pagare il mese di settembre. Il Centers for Disease Control and Prevention, agenzia federale che si occupa di sanità e servizi alla persona, e il Department of Health, si occuperanno del rispetto della nuova moratoria, per evitare che le famiglie sfrattate vadano a vivere in strada durante una pandemia non ancora sotto controllo. Una situazione potenzialmente esplosiva, che prende avvio da lontano e che senza un nuovo pacchetto di aiuti vedrà gli sfratti essere solo rimandati. Nel 2016 sono stati 3,7 milioni, sette ogni minuto, al netto degli allontanamenti informali o illegali. Secondo la National Coalition for the Homeless, 20 milioni di americani già prima del Covid spendevano tutto quello che guadagnavano ogni mese e in caso di imprevisti erano esposti al rischio di ritrovarsi senza casa a un certo punto della vita. Con la pandemia il numero può aumentare di molto.
In California negli ultimi anni il numero delle famiglie senza casa è cresciuto moltissimo e nel rapporto “The State of Homelessness in America” diffuso nel settembre 2019 dal Council of Economic Advisers della Casa Bianca venivano sottolineati i problemi che affliggono in particolare Los Angeles, imputando la responsabilità per la delicata situazione alle amministrazioni locali democratiche, auspicando un’azione più decisa da parte delle forze dell’ordine. Nel rapporto si affermava che “politiche tese ad arrestare persone solo perché sono senza tetto sono sbagliate e disumane. Allo stesso tempo la polizia può avere un ruolo importante per aiutare a rimuoverle dalle strade per andare in centri di accoglienza”.
L’opportunità di una tale politica quest’anno è stata superata dall’emergenza sanitaria, che ha posto nuovi problemi, ma ha favorito anche nuove idee. Lo scorso aprile il maggiore centro di accoglienza di San Francisco si è trasformato in un focolaio, registrando più di 100 persone tra ospiti e staff positive al Covid-19. Ma in qualche modo era già pronta una soluzione, con il progetto Roomkey, poi diventato Homekey, lanciato dal governatore della California Gavin Newsom la settimana precedente. Tale programma, che utilizza i fondi del Cares Act, intende trasformare camere di albergo in alloggi permanenti per i senza tetto, e in poche settimane è diventato operativo: al momento raccoglie 16.500 stanze, di cui 11.600 già occupate. Un’idea sostenuta da organizzazioni e gruppi di advocacy, che nel frattempo hanno promosso la campagna “No Vacancy California”, per offrire un alloggio a tutti gli oltre 151.000 senza tetto californiani.
TRUMP POWER
di Furio Colombo 12€ AcquistaArticolo Precedente
Grecia, processo ad Alba Dorata: è “organizzazione criminale”. Una condanna per omicidio. In 15mila fuori dal Tribunale: scontri
Articolo Successivo
Nagorno Karabakh, la comunità internazionale non lasci arrivare la Turchia ‘alle porte di Vienna’
Gentile lettore, la pubblicazione dei commenti è sospesa dalle 20 alle 9, i commenti per ogni articolo saranno chiusi dopo 72 ore, il massimo di caratteri consentito per ogni messaggio è di 1.500 e ogni utente può postare al massimo 150 commenti alla settimana. Abbiamo deciso di impostare questi limiti per migliorare la qualità del dibattito. È necessario attenersi Termini e Condizioni di utilizzo del sito (in particolare punti 3 e 5): evitare gli insulti, le accuse senza fondamento e mantenersi in tema con la discussione. I commenti saranno pubblicati dopo essere stati letti e approvati, ad eccezione di quelli pubblicati dagli utenti in white list (vedere il punto 3 della nostra policy). Infine non è consentito accedere al servizio tramite account multipli. Vi preghiamo di segnalare eventuali problemi tecnici al nostro supporto tecnico La Redazione
Mondo
Ucraina, Putin apre a una tregua: “Sì, se porterà a una pace duratura”. Trump: “Parole promettenti, mi piacerebbe incontrarlo”
Zonaeuro
Nuovo scandalo in Europa, in manette lobbisti di Huawei: “Hanno corrotto parlamentari”. Perquisiti gli uffici, sigilli a quello di un assistente di Falcone (Fi)
Politica
Intercettazioni, bocciati gli emendamenti per “salvare” i reati da codice rosso. Orrico (M5s): “Sono stata vittima. Così donne senza tutela”
Sankt Moritz, 13 mar. -(Adnkronos) - La prima tappa della Coppa delle Alpi by 1000 Miglia 2025, partita da Brescia alle 9:00 di stamattina, è in conclusione. La classifica aggiornata alla Prova di Media sul Passo Eira vede Francesco e Giuseppe di Petra in testa a bordo della loro Fiat 508C del 1938, seguiti da Belotti-Plebani sulla Bugatti T 37 A del 1927 e da un’altra 508C ma del 1937, quella di Aliverti-Polini. Conclusa la sosta per il pranzo a Tirano, gli equipaggi hanno iniziato a risalire la Valtellina toccando prima Grosio, con la vista del Castello Vecchio di San Faustino sullo sfondo, e poi Bormio, che ha ospitato un controllo timbro in pieno centro storico. Una volta lasciata alle spalle la cittadina, hanno iniziato a profilarsi i primi scorci imbiancati. Ben presto, gli equipaggi si sono visti immersi in un panorama completamente innevato, reso ancor più bello dalla luce del sole del pomeriggio.
Sul Passo Eira, ad un’altitudine di 2000 metri, si è tenuta la prima Prova di Media della manifestazione, dopodiché il convoglio è giunto a Livigno, che ha accolto i piloti per un coffee break nella Piazza del Comune. Il benvenuto del centro cittadino è stato caloroso, con una folla entusiasta che si è riunita nei pressi dell’arco all’arrivo nella cittadina, partner della Coppa delle Alpi 2025. Costeggiando il lago di Livigno, ghiacciato dalle rigide temperature invernali, gli equipaggi sono entrati in Svizzera passando dal tunnel Munt la Schera. Le vetture sono infine giunte a St. Moritz, primo traguardo di tappa della Coppa delle Alpi 2025.
Lasciandosi alle spalle la Torre Pendente di San Maurizio, hanno effettuato le ultime prove di giornata e, dopo aver costeggiato il lago di St. Moritz, sono finalmente giunte al Controllo Orario finale nella centralissima via Serlas sotto una consistente nevicata.
Verona, 13 mar. - (Adnkronos) - "Abbiamo voluto e portato all’interno di una manifestazione fieristica un progetto di natura sociale, per la prima volta in assoluto, in quanto non era mai accaduto che si dedicasse un intero padiglione alla fiera del sociale. Lo abbiamo fatto per la prima volta in occasione del primo evento di LetExpo, e ora siamo alla quarta edizione. Siamo partiti con tre organizzazioni tra fondazioni e associazioni: Fondazione Grimaldi, la Comunità Lautari e l’ospedale pediatrico Santobono Pausilipon, con la sua Fondazione. Oggi sono più di 50 organizzazioni, c’è stata una crescita esponenziale. Sono felice di aver condiviso tutte queste annate con il ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli, che ha condiviso con noi questi momenti”. Lo ha detto Eugenio Grimaldi, executive manager del Gruppo Grimaldi e presidente di Alis per il Sociale alla quarta edizione di LetExpo, la fiera di riferimento per i trasporti, la logistica, i servizi alle imprese e la sostenibilità, in programma a Verona fino al 14 marzo. La fiera è promossa da Alis in collaborazione con Veronafiere, LetExpo rappresenta l’evento nazionale e internazionale di riferimento della filiera, con un focus sulle attuali dinamiche geopolitiche e sulla sostenibilità ambientale, economica e sociale.
“Il ministro Locatelli ha ascoltato le istanze di queste fondazioni e organizzazioni, ci ha invitato a Palazzo Chigi, dove abbiamo avuto modo di parlare delle loro criticità e ascoltandole credo che nei nuovi decreti abbiano potuto portare e sollevare delle linee guida presenti oggi in questi nuovi decreti. Quindi, rappresenta un risultato tangibile che ci dà grande soddisfazione - afferma Grimaldi - Ho avuto la percezione anche di una crescita per i prossimi anni e questo dà sicuramente grande soddisfazione e ancora più voglia di lavorare”.
“E’ stato un momento di grande soddisfazione aver avuto momenti di condivisione con i gruppi del ministero della Difesa, come l’esercizio, che hanno partecipato in senso attivo non solo nel padiglione, dove c'è l'organizzazione del Ministero della Difesa, ma si sono avvicinati al padiglione 1, dedicato al sociale - spiega - Già abbiamo condiviso che l'anno prossimo avremo una partecipazione anche all’interno dell’organizzazione da parte loro. Abbiamo avuto anche l'Aeronautica militare, che con la Fanfara ha aperto il padiglione nella giornata inaugurale”. “Voglio ringraziare tutte le imprese, che rappresentano il senso di questo evento e le aziende che hanno già portato a termine alcuni progetti con la Comunità Lautari e con la Fondazione Grimaldi, ma soprattutto che hanno portato a compimento già con la Fondazione Santobono. C'è un senso pratico e tangibile del lavoro espresso in questo padiglione e in questa fiera, che porta sicuramente dei risultati nel terzo settore, dove ci sono i più fragili”, conclude Grimaldi.
Roma, 13 mar. (Adnkronos) - Cresce la consapevolezza degli italiani verso la sostenibilità alimentare. A testimoniarlo è la recente indagine 'Le scelte alimentari degli italiani tra sostenibilità e consumo: percezioni e preferenze verso i prodotti certificati' commissionata a Consumerismo No Profit da Findus e presentata oggi durante un incontro svoltosi presso l’Acquario Civico di Milano.
Secondo il sondaggio, quasi 7 consumatori su 10 (il 68% degli intervistati) considera la sostenibilità un fattore importante, con quasi il 20% che la ritiene un driver fondamentale nella scelta dei prodotti alimentari da acquistare. Inoltre, l’indagine evidenzia come le abitudini d’acquisto stiano cambiando: rispetto a 10 anni fa, il 66% degli intervistati dichiara di aver aumentato la propria attenzione nei confronti di prodotti certificati sostenibili e 2 italiani su 10 li cercano attivamente al supermercato. Quasi la metà degli intervistati (46%) dichiara di leggere spesso le etichette per verificare la provenienza e la filiera dei prodotti alimentari, il 26% lo fa sempre.
Per quanto riguarda i prodotti certificati sostenibili, 1 italiano su 10 (12%) li sceglie sempre, mentre il 71% li acquista occasionalmente, approfittando di offerte e promozioni, dimostrando una predisposizione selettiva che spesso dipende dal prezzo. Quando si tratta di prodotti ittici, la qualità e la freschezza rimangono il principale fattore di scelta per il 64% degli intervistati, seguiti dalla provenienza del pesce (59%) e dal prezzo (51%). Ma è da segnalare anche che 1 consumatore su 4 (26%) indica le certificazioni di sostenibilità come un criterio determinante nella scelta dei prodotti ittici, un dato che suggerisce come le certificazioni stiano entrando tra i criteri di scelta, seppure ci sia da continuare a lavorare.
Roma, 13 mar. (Adnkronos) - Cresce la consapevolezza degli italiani verso la sostenibilità alimentare. A testimoniarlo è la recente indagine 'Le scelte alimentari degli italiani tra sostenibilità e consumo: percezioni e preferenze verso i prodotti certificati' commissionata a Consumerismo No Profit da Findus e presentata oggi durante un incontro svoltosi presso l’Acquario Civico di Milano.
Secondo il sondaggio, quasi 7 consumatori su 10 (il 68% degli intervistati) considera la sostenibilità un fattore importante, con quasi il 20% che la ritiene un driver fondamentale nella scelta dei prodotti alimentari da acquistare. Inoltre, l’indagine evidenzia come le abitudini d’acquisto stiano cambiando: rispetto a 10 anni fa, il 66% degli intervistati dichiara di aver aumentato la propria attenzione nei confronti di prodotti certificati sostenibili e 2 italiani su 10 li cercano attivamente al supermercato. Quasi la metà degli intervistati (46%) dichiara di leggere spesso le etichette per verificare la provenienza e la filiera dei prodotti alimentari, il 26% lo fa sempre.
Per quanto riguarda i prodotti certificati sostenibili, 1 italiano su 10 (12%) li sceglie sempre, mentre il 71% li acquista occasionalmente, approfittando di offerte e promozioni, dimostrando una predisposizione selettiva che spesso dipende dal prezzo. Quando si tratta di prodotti ittici, la qualità e la freschezza rimangono il principale fattore di scelta per il 64% degli intervistati, seguiti dalla provenienza del pesce (59%) e dal prezzo (51%). Ma è da segnalare anche che 1 consumatore su 4 (26%) indica le certificazioni di sostenibilità come un criterio determinante nella scelta dei prodotti ittici, un dato che suggerisce come le certificazioni stiano entrando tra i criteri di scelta, seppure ci sia da continuare a lavorare.
Roma, 13 mar. - (Adnkronos) - Il Gruppo Webuild ha chiuso il 2024 con risultati record, superando gli impegnativi obiettivi previsti per l’anno grazie a una crescita a doppia cifra, con ricavi pari a 12 miliardi (+20% sul 2023) mentre l'Ebitda ammonta a 967 milioni (+18%, rispetto a una guidance fissata sopra i 900 milioni), corrispondente a un margine del’8,1%. Il gruppo sottolinea come la struttura finanziaria si è rafforzata ulteriormente mantenendo per il quarto anno consecutivo una posizione di cassa netta, che si attesta a 1.445 milioni nel 2024 (ben superiore agli oltre 400 milioni fissati nella guidance) mentre la leva finanziaria si è ridotta a 2,9x, attestandosi ad un livello migliore rispetto ai principali player internazionali di settore.
La crescita - si sottolinea - è trainata dallo sviluppo delle attività in Italia (Alta Velocità/Alta Capacità ferroviaria MilanoGenova e Verona-Padova, Alta Velocità ferroviaria Napoli-Bari e Palermo-Catania-Messina), in Australia (Snowy Hydro 2.0, SSTOM Sydney Metro, Perdaman e North East Link di Melbourne) e in Arabia Saudita (Trojena Dams e Connector South).
Il Gruppo ha continuato a consolidare la propria leadership in Italia e nei principali mercati internazionali, tra cui Europa, Australia, Stati Uniti e Medio Oriente, che nel 2024 hanno contribuito per oltre il 90% ai ricavi, a conferma del proseguimento dell’impegno nella politica di de-risking.
A fine 2024 il portafoglio ordini totale di Weibuld risultava pari a 63,2 miliardi di euro, di cui 54,3 miliardi relativi a construction e 8,9 miliardi riferiti a concessions e operation & maintenance. Il backlog construction - si sottolinea in una nota - "si conferma tra i più alti rispetto ai principali peers europei nel segmento construction". Peraltro, ricorda Webuild, circa il 90% del backlog construction del Gruppo è relativo a progetti legati all’avanzamento degli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) delle Nazioni Unite. In termini di geografie il portafoglio ordini risulta prevalentemente distribuito tra Italia, paesi dell’Europa Centrale e del Nord, Stati Uniti, Medio Oriente ed Australia - principalmente in segmenti legati alla mobilità sostenibile quali l’alta velocità, il settore ferroviario e il settore stradale - portando i progetti in queste geografie a quasi il 90% del backlog construction.
Alla luce dei risultati record raggiunti nel 2024, ma anche "del consolidato posizionamento in un mercato in forte espansione e della robusta piattaforma costruita nel tempo", Webuild ha rivisto al rialzo i target 2025, definiti nel piano "Roadmap al 2025 – The Future is Now", che già prevedevano obiettivi ambiziosi. La nuova guidance prevede per il 2025 ricavi superiori a 12,5 miliardi (il target precedente era di 10,5-11 miliardi), un Ebitda maggiore di 1,1 miliardi, rispetto ad un precedente target di €990-1.050 milioni, e una solida cassa netta superiore a 700 milioni, rispetto all’indicazione di una cassa netta positiva.
Webuild ha chiuso il 2024 con un utile netto attribuibile ai Soci della Controllante adjusted di 247 milioni di euro contro i 236 milioni del 2023.Il risultato prima delle imposte adjusted si attesta a 434 milioni con un aumento del 10% rispetto all’esercizio precedente mentre le Imposte sul reddito adjusted ammontano a 181 milioni. La Posizione finanziaria netta delle attività continuative al 31 dicembre 2024 era positiva per 1.445 (€1.431 milioni al 31 dicembre 2023), registrando un risultato superiore alle attese. Questo risultato - si sottolinea in una nota - "conferma l’efficacia delle strategie adottate per ottimizzare la gestione del capitale circolante e riflette i successi commerciali conseguiti dal Gruppo anche nel 2024, assumendo ancora maggiore rilevanza alla luce degli investimenti in dotazioni tecniche e beni in leasing (970 milioni) per l’avvio dei grandi progetti in corso".
A fine esercizio l’indebitamento lordo, al netto dell’effetto temporaneo di incremento del debito legato all’operazione di liability management di ottobre 2024, si attesta a 2,765 miliardi (2,609 miliardi nel 2023), con un rapporto Indebitamento lordo/EBITDA di 2,9x, in riduzione rispetto al dato di 3,2x al 31 dicembre 2023. Alla luce dei risultati nell'assemblea che sarà convocata per il 16 aprile sarà proposto un dividendo di 0,081 euro per azione ordinaria (+14%) e di 0,26 euro per ciascuna azione di risparmio.
Napoli, 13 mar. (Adnkronos/Labitalia) - In una Campania in crescita, ma ancora segnata dal fenomeno della fuga di talenti, il legame tra formazione universitaria e sviluppo economico diventa cruciale. Se ne è discusso presso la Sala D’Amato dell’Unione Industriale Napoli, durante l’evento 'Muoversi nelle professioni e sul territorio', promosso dalla Luiss e dedicato alle lauree magistrali dell’Ateneo.
“La Luiss lavora in prima linea per costruire corsi di laurea magistrale strettamente legati alle necessità del mercato del lavoro. Pur avendo sede a Roma, dedichiamo particolare attenzione alla Campania, seconda regione di provenienza dei nostri studenti e territorio ricco di opportunità nei settori chiave come turismo, agroalimentare e aerospazio. Il nostro obiettivo è collaborare con le imprese campane affinché i nostri studenti possano realizzarsi professionalmente all’interno di esse, raggiungendo posizioni apicali”, ha spiegato Enzo Peruffo, Dean della Graduate School Luiss e responsabile dello sviluppo dei percorsi magistrali dell’Ateneo.
Durante l’incontro sono state illustrate anche le caratteristiche dell’offerta formativa Luiss: “E' importante farsi guidare dalle proprie passioni e dai propri interessi, ma anche essere pronti a sviluppare nuove competenze trasversali, saper dialogare con l’intelligenza artificiale con solide competenze verticali e lavorare sulle life skills, le cosiddette competenze della vita. Solo così si potranno affrontare le trasformazioni attuali e future. Per noi è fondamentale interagire con tutte le realtà del territorio, da cui traiamo spunto per disegnare un’offerta formativa sempre più aderente alle esigenze del mercato del lavoro. Il nostro obiettivo è formare studenti altamente preparati, motivati e appassionati, in grado non solo di entrare nel mondo del lavoro, ma di costruire percorsi di carriera soddisfacenti e di successo”.
Roma, 13 mar. (Adnkronos/Labitalia) - Si è conclusa oggi la terza edizione del Welfare day evento di riferimento per il mondo del welfare aziendale, organizzato da Comunicazione Italiana in collaborazione con Pluxee Italia, player globale leader nei benefit aziendali e nell’employee engagement. La giornata, ospitata presso Palazzo dell’Informazione in Roma e trasmessa in diretta su www.comunicazioneitaliana.tv, ha offerto spunti concreti su come le imprese possano integrare il welfare nelle proprie strategie, favorendo sostenibilità, engagement dei dipendenti e innovazione.
L'evento si è aperto con il Keynote Speech di Pluxee Italia, in cui Anna Maria Mazzini e Tommaso Palermo - rispettivamente Chief Growth Officer e Managing Director di Pluxee Italia - hanno evidenziato come il welfare aziendale stia evolvendo in una strategia collettiva, guidata dalla digitalizzazione e dalla crescente personalizzazione dei servizi. Attraverso dati e case study, è emerso come la tecnologia stia rivoluzionando la gestione del benessere dei dipendenti, rendendolo più accessibile ed efficace. Durante l’evento Pluxee ha presentato anche la nuova piattaforma welfare: un’innovazione che amplia l’offerta dei servizi offerti, basata su flessibilità, accessibilità e ampiezza del network.
Nel corso delle tre sessioni talk show, con la partecipazione di Chro, welfare manager e altre figure hr chiave di aziende del Paese, sono stati affrontati alcuni dei temi più rilevanti per il futuro del welfare. Nel primo, 'Welfare strategico: l’alleanza tra hr e business e la creazione di valore sostenibile', con la conduzione di Esther Intile di Enel Group, è stato approfondito il legame tra il welfare aziendale e la sostenibilità delle imprese. Tra i punti emersi, la necessità di un approccio integrato tra hr e business per massimizzare l’impatto positivo del welfare sulla produttività e sulla retention dei talenti.
Nel secondo panel, “Il ruolo dei benefit aziendali all'interno della strategia di welfare”, si è discusso di come i benefit siano passati da strumenti standardizzati a soluzioni sempre più personalizzate, grazie all’ascolto attivo delle esigenze dei dipendenti e all’uso di piattaforme digitali. Relatori e relatrici hanno sottolineato l'importanza di costruire un ecosistema aziendale basato sulla flessibilità e sull’inclusione, ma hanno anche posto l’accento su una criticità diffusa: troppi dipendenti non conoscono o non sfruttano i benefit a loro disposizione. Servono quindi strategie di comunicazione più efficaci per favorire un reale engagement.
Il terzo e ultimo talk show, “La centralità del welfare nelle strategie di attraction e retention”, ha posto l’attenzione sulla crescente importanza del welfare come strumento di attrazione e fidelizzazione dei talenti. Tra le best practice emerse, il rafforzamento di benefit legati alla salute, al sostegno alla genitorialità e al benessere psicologico, aspetti ormai fondamentali per le nuove generazioni di lavoratori.
La sfida è coniugare ascolto e personalizzazione, superando l’approccio one-size-fits-all e costruendo soluzioni di welfare sempre più dinamiche, scalabili e in linea con le nuove esigenze del mondo del lavoro. Un welfare aziendale davvero efficace non solo migliora il benessere di lavoratori e lavoratrici, ma genera un impatto positivo sull'intera organizzazione, contribuendo alla sostenibilità e alla crescita nel lungo periodo. Durante l’evento hanno condiviso la loro esperienza le seguenti aziende: Altergon Italia, Atac, Eidosmedia, Fater, Fedegroup, Fendi, Hewlett Packard Enterprise, Philip Morris International, Procter & Gamble, Rheinmetall Italia, Ria Money Transfer e Tim. L’evento potrà a breve essere riascoltato su www.comunicazione.tv. L’appuntamento con il Welfare day si rinnova per il 2026, con l’obiettivo di continuare a tracciare il futuro del welfare aziendale in Italia.