Fino a due anni fa Cecily Castelnovo lavorava in una multinazionale: bell’ambiente, buona posizione, ottimo stipendio. Ma sentiva che qualcosa non tornava, che in qualche modo stava sacrificando i suoi valori. E così ha scelto il non profit
“Il Covid è stato per me l’ennesima conferma di aver fatto la scelta giusta: ho potuto aiutare chi aveva bisogno di assistenza sanitaria, chi di cibo e chi semplicemente chiedeva conforto o vicinanza. Ci sono soddisfazioni che uno può vivere solo lavorando in alcuni contesti e queste soddisfazioni non sono monetizziabili”. Cecily Castelnovo è un ingegnere biomedico di 40 anni e fino a due anni fa lavorava come project manager in una grossa multinazionale: bell’ambiente, buona posizione, ottimo stipendio. Ma sentiva che qualcosa non tornava, che in qualche modo stava sacrificando i suoi valori. Così, quando le hanno proposto di diventare responsabile operativo in una onlus di Milano attiva in ambito sociosanitario non ha saputo dire di no.
Tutto è iniziato nel 2003 con una tesi di laurea sull’assistenza domiciliare: “Era un tema insolito per un futuro ingegnere, ma l’ho scelto perché vicende di famiglia mi avevano mostrato quanto fosse importante affrontare la malattia nel proprio contesto domestico e affettivo”. Poi la vita l’ha portata altrove, ma quella tesi l’ha spinta a indagare i malfunzionamenti dell’assistenza domiciliare: “Uno dei problemi più grandi è la mancanza di interazione fra comparto sociale e sanitario. Sono passati oltre 15 anni ma le società che fanno assistenza domiciliare non dialogano con la sfera sociale”. Un esempio di base: “Una persona anziana e fragile, tipicamente, ha bisogno sia di terapie mediche sia di qualcuno che l’aiuti ad alzarsi con manovre particolari, proprie di un operatore socio-sanitario (Oss) che abbia una preparazione. Quindi il paziente dovrebbe avere un interlocutore unico che lo segua sia sul piano sociale che su quello sanitario. In molti casi però sono le famiglie a dover pagare un badante. E questo può essere un problema, perché molti non hanno un Isee tanto basso da essere esenti dai servizi sanitari né tanto alto da pagarsi tutti i giorni l’assistente familiare che vada mattina e sera a sollevare la persona”. Il risultato è che spesso il malato è abbandonato nel suo domicilio e peggiora gradualmente, a quel punto la sua condizione diventa un problema infermieristico e occorre ospedalizzarlo. “Noi cerchiamo di prevenire che questo avvenga”.
Se in tempi normali questa è già una criticità diffusa, nel periodo Covid associazioni come la sua, che si occupano di assistenza domiciliare in una grande città, hanno potuto sperimentare quello che succede con un malfunzionamento di questo tipo. “Abbiamo vissuto in uno stato di una drammaticità rara perché siamo stati inondati da richieste a cui noi stessi non sapevamo in molti casi come rispondere. Ci hanno chiamato malati ma anche anziani che non sapevano come fare la spesa, persone totalmente sole che non avevano accesso nemmeno alle informazioni generali, come i numeri utili in caso di necessità. Lì ho capito di essere nel posto giusto perché, grazie al lavoro formidabile degli operatori, associazioni come la nostra hanno garantito l’assistenza”.
La onlus per cui lavora dialoga principalmente con l’azienda sanitaria territoriale per trovare operatori disposti a fornire assistenza domiciliare, ma si occupa anche di integrazione e alfabetizzazione, cercando di raggiungere chi vive ai margini: “A Milano ho scoperto due tipi di fragilità che non pensavo esistessero: uno riguarda l’accesso alle cure, l’altro è legato alla impossibilità di alcuni minori stranieri di accedere all’istruzione scolastica dell’obbligo. E con la cooperativa ci stiamo muovendo per offrire supporto ad alcuni di loro”.
Anche se da un punto di vista economico le cose sono cambiate parecchio, a distanza di due anni e Cecily non ha dubbi: “Uno può anche controffrirmi un lavoro in cui mi pagano 3 miliardi al mese ma rifarei questa scelta identica. Perché se avessi più di quello che mi serve per vivere lo userei comunque per volontariato”. Per questo ancora prima di lavorare nel non profit ha iniziato ad aiutare, anche come caregiver, un’associazione di supporto ai malati di Sla (Gasla) e a offrire gratis quello che sapeva fare meglio: i calcoli. Pur avendo un contratto come esercitatrice di Analisi 1 e Geometria al Politecnico di Milano, nel tempo libero, infatti, Cecily prepara gratuitamente i ragazzi di vari quartieri in Matematica e Fisica: “Nel mio piccolo, cerco di trasmettere ai miei allievi di non cedere a logiche puramente econometriche, ma di pensare che ognuno debba avere il giusto per vivere, e condividere l’extra con gli altri”. Incluso il sapere. La sua filosofia è maturata negli anni, attraverso bravi maestri e anni di volontariato. Ma di certo a portarla a condividere è stata la sua esperienza di vita, iniziata in India, dov’è rimasta fino all’età di tre anni e mezzo, quando una coppia di italiani l’ha adottata: “Ho una famiglia splendida. Essere adottata mi ha insegnato ad approcciarmi verso gli altri con gratitudine, perché se tu per primo hai ricevuto gratuitamente ti viene spontaneo dare gratuitamente”.