“All’accusa che i leader sindacali hanno rivolto a Confindustria di non volere i contratti abbiamo risposto con chiarezza che Confindustria i contratti li vuole sottoscrivere e rinnovare. Solo che li vogliamo ‘rivoluzionari’, rispetto al vecchio scambio di inizio Novecento tra salari e orari”. Tradotto: in quanto autorizzino la piena mano libera delle imprese nelle decimazioni aziendali a mezzo licenziamenti, cancellando (rivoluzionariamente?) qualcosa come un secolo e mezzo di lotte per i diritti del lavoro.

Così strepita Carlo Bonomi, il grossista di apparecchiature elettromedicali scelto dagli industriali aderenti a Confindustria quale loro presidente per dare voce allo stato d’animo prevalente nella categoria: il revanscismo da ultima raffica, che li destina a massa di manovra al servizio (inconsapevole?) dei grandi tessitori anti-governo giallo-rosa; che sbavano all’idea di poter mettere le mani sul malloppo, in presumibile arrivo da Bruxelles (Recovery Fund o Next Generation che dir si voglia).

Altri – anche su queste pagine – si sono fatti carico di mostrare in maniera convincente l’ipocrisia di chi – pur avendo ricevuto dal Conte Bis la quota più consistente di risorse per affrontare la crisi pandemica – ora non si accontenta del molto ma pretende il tutto. Io stesso ho provato a tratteggiare in questa sede – partendo proprio dalle carte ufficiali di Confindustria – le gravissime responsabilità di un ceto industriale assenteista nel declino inarrestabile del nostro sistema produttivo. Vere campane a martello sulle vanità padronali di gestire loro la ripresa nazionale.

Ciò dato per acquisito, ora vorrei accennare alle modalità argomentative con cui i confindustriali promuovono le loro pretese; e sui retro-pensieri su cui si fondano. Quel qualcosa tra la petulanza e l’arroganza tradotto in luogo comune di cui oggi è icastico interprete il Carlo Calenda, che prima di impegnarsi in politica e prima ancora di aver portato la borsa all’industriale da jet-set Montezemolo, faceva il funzionario nel palazzone nero dell’Eur, sede di Confindustria: la torpida convinzione di una superiorità genetica dei membri del consesso con il simbolo dell’aquilotto, in quanto portatori di una suprema idea di efficienza.

Convinzione coltivata già prima che il reaganismo e il neoliberismo ottundessero le capacità analitiche di un Paese colonizzato culturalmente – quale l’Italia – da una ricezione fideistica della cultura proprietaria di matrice anglosassone.

Baggianate riassumibili in due principi guida: la metafora della Mano Invisibile, intesa come naturale tendenza del mercato al cosiddetto “ottimo paretiano” (la migliore allocazione delle risorse), e il mito pericolosissime del Darwinismo Sociale: con buona pace di Charles Darwin, la credenza che le dinamiche competitive selezionino al meglio eliminando i perdenti. Lasciti di una tradizione che parla in lingua inglese, per cui Beniamino Franklin, non limitandosi a indicare nell’alcolismo la soluzione ottimale per fiaccare i nativi americani, dichiarava che meno si fa per i poveri “meglio riusciranno a cavarsela”. Gli faceva eco sull’altra sponda dell’Atlantico Francis Galton (cugino dell’incolpevole Darwin), inventore della pseudo-scienza Eugenics, proponendo la sterilizzazione dei “poveri inutili”, per la loro incapacità “costituzionale” di inserirsi nel mondo del lavoro.

Ora, nelle parole del confindustriale Bonomi c’è tutto il disprezzo (atlantico) nei confronti dei “poveracci” che non albergava in una cultura come quella italiana, almeno dal punto di vista formale e dichiarativo, intrisa del misericordioso messaggio evangelico delle beatitudini: “beati voi poveri perché vostro è il regno di Dio”.

Un’attitudine solidale cancellata dall’alluvione americanista a fumetti; mentre – nel dilagare delle diseguaglianze – assistiamo all’invadenza di un elitismo che si tinge di palesi retro-pensieri razzisti: i poveracci come specie inferiore. Anche se fa un po’ ridere che a manifestarlo sia la congrega dei padroncini; che si ritengono un’aristocrazia, mentre si aggirano alla ricerca famelica di sussidi statali.

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