Espellere Luca Palamara dalla magistratura. Rimuovere dall’ordine giudiziario il “regista” dell’incontro all’hotel Champagne di Roma in cui il pm romano e i parlamentari Luca Lotti e Cosimo Ferri “per differenti ma cospicui interessi personali hanno pilotato e promosso la nomina” del procuratore capitolino e di un aggiunto, oltre che “programmato la nomina del direttivo di un altro ufficio giudiziario, quello di Perugia“. La procura generale della Cassazione punta alla sanzione massima nel processo in corso davanti alla Sezione disciplinare del Csm in cui l’ex presidente dell’Anm, già sospeso dalle funzioni e dallo stipendio e sotto inchiesta per corruzione a Perugia, deve rispondere dei suoi comportamenti nei confronti dei colleghi che concorrevano per un posto in diverse procure. A partire proprio dall’incontro all’hotel della Capitale avvenuto tra l’8 e il 9 maggio 2019, quando Palamara e i due politici discussero della nomina del futuro procuratore capo di Roma con cinque consiglieri del Csm (poi costretti alle dimissioni), concretizzando un “indebito condizionamento” delle funzioni del Csm.
Secondo l’avvocato generale della Cassazione Pietro Gaeta, quella vicenda – captata grazie al trojan inoculato nel cellulare del pm romano i cui audio sono stati pubblicati nelle scorse settimane da Il Fatto Quotidiano – costituisce “un unicum nella storia della magistratura italiana”. I fatti contestati davanti alla Sezione disciplinare sono di “elevatissima gravità” e il magistrato non ha fornito elementi per attenuarne la portata. “Senza il suo operato non ci sarebbe stata la riunione all’hotel Champgne e dunque l’ interlocuzione tra rappresentanti istituzionali e l’onorevole Lotti, che ha incluso il parlamentare in decisioni strategiche“. A chiudere la requisitoria è stato il sostituto Pg della Cassazione Simone Perelli, che rincara la dose: Palamara voleva un “procuratore di Perugia addomesticato, che doveva assecondare il sentimento di rivalsa suo e di Lotti nei confronti di Paolo Ielo (il procuratore aggiunto a Roma, ndr).Una condotta di inaudita gravità“. Poi respinge gli argomenti sostenuti dalla difesa: “Non vale invocare il mantra della spartizione correntizia“. Sui vertici della procura di Roma ( dove si mirava a garantire “discontinuità” con la gestione di Giuseppe Pignatone) e di Perugia c’era un “disegno occulto e inconfessabile” e l’ obiettivo era “selezionare candidati che avrebbero dovuto sovvertire le regole dello stato di diritto”.
Nel corso dell’udienza a Palazzo dei Marescialli si è parlato anche dei tempi previsti per il procedimento disciplinare, giudicati troppo brevi dalla difesa e da una parte della stampa. Secondo il rappresentante della procura di Cassazione Gaeta, non c’è alcuna forzatura dei tempi, nessuna compressione dei suoi diritti di difesa e soprattutto nessuna volontà di fare del pm romano, sospeso dalle funzioni e dallo stipendio, un “capro espiatorio” e il suo processo la “tacitazione della cattiva coscienza della magistratura”, nell’ottica di “sacrificarne uno per salvarne mille”. Anzi, Gaeta ha rigettato tutte quelle che ha definito “bolle mediatiche” e che rappresentano accuse “insostenibili” al lavoro svolto dal suo ufficio. In particolare ha definito “avventata” l’accusa di aver compresso i diritti di Palamara opponendosi alla lista dei 130 testimoni, presentata dalla difesa, “per non far emergere posizioni involgenti altri magistrati”. E ha rivendicato il rigoroso rispetto delle regole anche sull’utilizzazione delle intercettazioni della riunione all’hotel Champagne. Quella conversazione fu captata in modo “assolutamente casuale”, non si sapeva della presenza dei due parlamentari.
I legali di Palamara, invece, la pensano in modo opposto: le intercettazioni con Lotti e Ferri non dovevano essere utilizzate. In ballo c’è la “possibile violazione dell’articolo 68 della Costituzione“, visto che è stato intercettato anche il parlamentare Cosimo Ferri,” entrato nel perimetro dell’indagine sin dai primi atti”. L’avvocato Stefano Guizzi ha quindi annunciato di valutare l’ipotesi di presentare un ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo.