“Il contact tracing è senza dubbio uno strumento di gestione della pandemia, ma presenta alcuni limiti: risorse enormi da mettere in campo e soprattutto scarsa affidabilità della memoria dei singoli nel ricostruire i propri contatti risalendo ai 5 giorni precedenti la scoperta della positività, tempo di incubazione e successiva manifestazione degli eventuali sintomi. Sfuggono alle maglie di controllo diversi ambienti di interazione e questo lo rende a volte meno efficace nell’identificazione tempestiva dei casi, con il conseguente isolamento per circoscrivere i focolai. L’alternativa più efficace è il network testing”. Lo ha spiegato Andrea Crisanti, professore di Microbiologia all’università di Padova, intervenut alla terza giornata del Festival della Scienza Medica di Bologna, online fino al prossimo 17 ottobre e dedicato al tema “Lezioni di medicina. Covid-19”. L’esistenza di una comunità ristretta come quella di Vo’ Euganeo (dove a febbraio si sviluppò uno dei primi focolai), spiega Crisanti, con una rete di interazioni identificabili e limitate, ha permesso di sviluppare il cosiddetto network testing, considerato da Crisanti alternativa più efficace al contact tracing. “Ci sono diversi livelli di interazione delle persone: l’ambiente familiare, quello lavorativo o scolastico. Invece di basarci sul ricordo della singola persona per ricostruire ex post i possibili contatti, il network testing decide di testare a tappeto tutti gli appartenenti a questi spazi di interazione: famiglia, amici, compagni di scuola, colleghi di lavoro. In questo modo si possono isolare tempestivamente anche gli asintomatici, che abbiamo scoperto avere una carica virale assimilabile a quella del soggetto malato, isolarli e spegnere sul nascere la possibile trasmissione ulteriore”. Un po’ come usare la rete a strascico al posto della canna da pesca: un’identificazione precoce dei casi che ha consentito di ridurre l’R0 del 98%.
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