Scienza

Coronavirus, i soggetti a rischio (come me) si giocano tutto nei primi giorni d’infezione. Agiamo con i farmaci giusti

La seconda ondata della epidemia di Covid-19 è arrivata. La Campania, purtroppo, stavolta sembra essere tra le prime regioni di Italia per numero di nuovi casi. Io, soggetto ad alto rischio (cancro e diabete), non posso non avere, se non paura, una più che fondata preoccupazione.

Devo ringraziare per la possibilità di lavoro in smartworking che mi consente di stare a casa, ma certamente non mi fa piacere tirarmi fuori innanzitutto dalla vita. Studio più di prima: lo strano caso della idrossiclorochina merita senza dubbio una riflessione, in aggiunta a quella sui markers prognostici precoci in corso di pandemia da Covid-19.

La storia naturale della infezione da Covid-19, ormai ampiamente descritta dalla letteratura internazionale, sembra ormai ben delineata. Essa passa da una infezione asintomatica o paucisintomatica (80-90% dei casi) ad una malattia grave sino all’esito mortale in precise categorie di rischio, tra le quali un peso sempre maggiore assume quella degli ipertesi diabetici, come me.

La contagiosità veramente eccezionale del virus si mostra ampiamente democratica, ma la letalità si sta mostrando sempre più “classista”, uccidendo nel mondo ormai quasi esclusivamente i poveri o chi ha iniziato le cure in ritardo.

Quello che caratterizza e rende estremamente pericolosa questa infezione è la estrema velocità con cui, nei soggetti a rischio, in assenza di interventi precoci, sia pure aspecifici, essa determina in pochissimi giorni una patologia sostanzialmente autoimmune ingravescente in grado di determinare la morte non solo per polmonite interstiziale ma per uno scompenso infiammatorio multiorgano e coagulazione intravascolare disseminata (CID).

La morte sopraggiunge per la violentissima reazione infiammatoria e coagulativa sistemica: la cosiddetta “tempesta di citokine”.

E’ ormai ben chiaro a tutti che l’esito mortale non dipende tanto da una azione diretta del virus ma dalla reazione immunitaria violentissima quanto inefficace dei soggetti a rischio. In questi pazienti la “tempesta di citokine” non viene adeguatamente contrastata prima di rendere necessario il ricovero ospedaliero con interventi invasivi, non sempre salvavita.

Una ormai ampia letteratura scientifica internazionale certifica che l’aggravamento irreversibile della infezione accade nel brevissimo lasso di tempo dei primi 5-10 giorni e l’esito mortale in non oltre 10-20 giorni dalla infezione.

E’ quindi entro e non oltre i primi 5 giorni dall’avvenuta infezione che si determina l’esito, mortale o meno, della infezione da Covid-19 nei soggetti a rischio. E’ in questo brevissimo lasso di tempo che i soggetti a rischio come me si giocano la partita della vita, e a casa! E’ un incendio mortale che va contrastato immediatamente per sperare di riuscire, se non a spegnerlo, a ridurne gli effetti letali.

Alcuni semplici ed immediati parametri di laboratorio, che indicano la presenza di una infiammazione importante e disfunzioni emocoagulative, si sono rivelati preziosi per valore prognostico: la proteina C reattiva, il d–dimero, il semplice emocromo, la ferritinemia.

La neopterina, un marker di immunoattivazione inefficace dei monociti macrofagi attivati (come appariva in corso di infezione da Hiv: “A.Marfella et al “Urinar neopterin, a useful marker for AIDS?”, Lancet, maggio 1985) dovrebbe aggiungersi a questi semplici ed importantissimi marcatori per dare informazioni preziosissime sul grado e sulla qualità del coinvolgimento dei monociti macrofagi attivati in modo eccessivo ma inefficace (Hasan SO “The prognostic role of neopterin in Covid-19 patients” J. Medical Virology, 25 agosto 2020).

Non disponiamo né disporremo a breve termine di vaccini certamente efficaci e sicuri. La pratica clinica in tutto il mondo ha ormai codificato alcuni principi comuni per interventi terapeutici comunque possibili: farmaci anticoagulanti, cortisone e antivirali come il Remdesivir sono ormai codificati. I ricchi che si curano subito non muoiono più, i poveri che si curano male o tardi continuano a essere falcidiati in tutto il mondo.

Farmaci antichi e poco costosi come la idrossiclorochina, specie laddove non si può utilizzare cortisone, sono stati per questo ampiamente utilizzati in tutto il mondo (Meo SA “Efficacy of chlorochine and hydroxychlorochine in the treatment of Covid 19” Eur Rev Med Pharm Sciences 24: 4539-4547 , 2020). Grazie anche all’esercito italiano, la iniziale carenza di produzione e assenza sul nostro mercato di questo farmaco è stata evitata e, nonostante la “maledizione” politica non scientifica, in terapia precoce domiciliare viene utilizzato dai medici italiani ma in regime “off label”.

La presenza di studi farlocchi, dimostrati falsi e ritirati, che ha portato a posizioni antiscientifiche anche l’Aifa, non è stata ancora riparata in Italia, restituendo a questi farmaci antichi, efficaci e a basso costo il ruolo che loro compete soprattutto nel caso di pazienti che non possono, per patologie pregresse, ricorrere ad altri farmaci immunosoppressori efficaci come il desametasone.

La idrossiclorochina si mostra uno strumento utile aggiuntivo e sicuro (nessun significativo effetto collaterale nel breve tempo di utilizzo previsto si è mai registrato non solo oggi ma da circa 4 secoli) specie in pazienti ad alto rischio per i quali non si può clinicamente ricorrere in modo massiccio al cortisone. E’ un piccolo estintore che permette, in caso di avvio di un incendio mortale, di potere intervenire subito quanto meno per ridurne l’estensione mortale.

La preziosa lezione del Tucilizumab, farmaco monoclonale specifico contro la sola IL6, non è stata compresa. Era la indicazione chiara della strada giusta (combattere la tempesta di citokine per evitare l’eccesso di letalità da Covid-19) ma si doveva spostare la terapia precocemente e a domicilio del paziente infetto, specie quello ad alto rischio, ed in questo caso servono farmaci come la idrossiclorochina.

Dove è stato fatto subito (cito il professor Cavanna, modello “Piacenza) anche nei pazienti oncologici non si sono registrati i picchi di mortalità registrati in primavera.

Ora la secondo ondata è iniziata, non abbiamo ancora alcun vaccino efficace, ma mentre la letalità nel mondo si mostra elevata e fortemente classista, facendo strage tra i poveri, questo non sta accadendo in Campania. Se esista anche uno “scudo genetico” come pensa il professor Antonio Giordano, o se, come penso anche io, abbiamo imparato a gestire meglio tale patologia con i farmaci aspecifici già a disposizione, e precocemente a casa, saranno il tempo e la ricerca a dimostrarcelo.

Oggi io chiedo che sia restituito il posto nella farmacopea che legittimamente compete a farmaci utili e sicuri in terapia domiciliare precoce, come la idrossiclorochina, specie laddove non si può usare cortisone.

Per i pazienti come me, vederla considerata ancora come farmaco “off label” è una cattiveria antiscientifica e priva tutti i cittadini di un farmaco potenzialmente salvavita, in assenza di adeguata competenza in farmacologia clinica dei medici curanti.

E spero si comprenda finalmente l’importanza dei markers prognostici precoci e semplici come il d-dimero e la proteina C reattiva, ma anche come la neopterina, unico marcatore in grado di indicare immediatamente il grado di attivazione inefficace (e quindi prognosticamente negativo) dei monociti macrofagi.