Aprire le finestre per contrastare il rischio da Coronavirus oppure chiuderle per limitare i danni delle polveri sottili che si sollevano nei giorni di vento dalla zona industriale? È il dilemma in cui si sono ritrovati in queste ore gli studenti, i docenti e i dirigenti scolastici di Taranto. La città pugliese in questi giorni è sferzata da venti che soffiano dall’ex Ilva, sollevando le polveri che contengono cancerogeni come il benzoapirene. Nei giorni scorsi, infatti, l’Asl ionica ha emanato l’avviso per i cosiddetti “wind days”, cioè i giorni in cui la popolazione, esposta alle emissioni dell’area industriale, deve attenersi a una serie di precauzioni come per esempio la chiusura delle finestre e, tra le altre cose, la programmazione di “eventuali attività sportive all’aperto nelle ore in cui i livelli di inquinamento sono inferiori, ovvero fra le ore 12 e le 18” e soprattutto “arieggiare gli ambienti chiusi negli stessi orari”.
Anche per le scuole di Taranto e in particolare del quartiere Tamburi, quindi, la prescrizione delle autorità sanitarie è di tenere le finestre chiuse e di arieggiare le aule dopo le 12. In tempi di Covid, però, questa disposizione si scontra con le normative impartite dal Ministero dell’Istruzione che impone una costante azione di ricambio dell’aria per evitare eventuali contagi dovuti al ristagno. Un bel dilemma insomma. Nei giorni di wind days a Taranto, chiudere le finestre significa evitare di essere investiti da polveri sottili che contengono sostanze cancerogene, ma aumentando il rischio che il virus si diffonda nelle classi. Aprirle, al contrario, riduce la possibilità di contagio, ma espone studenti e insegnanti ai rischi connessi all’inquinamento.
Nel capoluogo ionico, infatti, i dati diffusi da Arpa Puglia nel 2019 certificano che le polveri superiori al pm10 – cosiddette polveri sottili – nelle strade del quartiere più vicino alla fabbrica oggi si sono depositate fino a tre volte in più delle periferie, ma ciò che appare più preoccupante è che in quelle polveri è contenute una quantità di sostanze nocive, come il benzoapirene, fino a 20 volte superiore rispetto alle borgate più lontane dallo stabilimento. Una differenza che si traduce in un maggiore tasso di mortalità: il Tamburi, anche se le condizioni sono diverse rispetto a 10 anni fa, è ancora il rione dove si muore di più. E non solo per tumore: i decessi per problemi cardiovascolari, legati all’inquinamento come ha dimostrato lo studio “Sentieri”, sono molto elevati. Sul dilemma tarantino, nei giorni scorsi, il comitato cittadino per la Salute e l’Ambiente ha lanciato l’allarme facendo presente al sindaco Rinaldo Melucci “che la copertura dei parchi minerali ha ridotto il sollevamento e lo spostamento delle polveri grossolane” ma non eliminato il fenomeno, come hanno dimostrato i dati di Arpa e le immagini terribili della tromba d’aria che il 4 luglio scorso ha scatenato una tempesta di veleni sui cittadini. Non solo. Esiste ancora il rischio legato al Pm10 “che è originato – scrive il comitato – dai processi produttivi dell’area a caldo” e “questo evidenzia come l’area a caldo vada chiusa” e “la produzione dell’area a caldo vada fermata immediatamente, dando anche attuazione al sequestro penale dell’area a caldo posto in essere dalla magistratura nel 2012 e mai annullato”.
“I dirigenti scolastici stanno gestendo con precauzione una situazione che sta degenerando: dentro la scuola è possibile garantire le distanze, ma solo un metro fuori dagli edifici scolastici si formano capannelli di ragazzi che si abbracciano. La situazione è critica: l’immediatezza dell’emergenza Coronavirus spinge a tenere le finestre aperte, ma così non contrastiamo i rischi da inquinamento”, ha spiegato al ilfattoquotidiano.it Alessandro Marescotti di Peacelink. “Alle 11 di giovedì – ha aggiunto Marescotti – il vento era molto sostenuto: bisognerebbe sapere in tempo reale da Arpa Puglia qual è il livello di inquinamento in quel preciso momento come afferma un principio europeo. Ma Arpa, che deve validare quei dati, li fornisce il giorno dopo. Sarebbe importante invece sapere se in quel preciso momento il livello è molto alto affinché le autorità sanitarie possano valutare se mettere il Covid in secondo piano e salvare gli studenti dal rischio di un eccesso di polveri sottili”. Insomma se il Covid ha trasformato il mondo intero in una grande Taranto esportando nell’intero pianeta il nodo tra salute e lavoro, nella città dell’ex Ilva la situazione sembra peggiorata costringendo studenti, e cittadini a dover valutare quale dei due rischi correre. Scegliere, in sostanza tra il rischio di un contagio da coronavirus oppure quello legato all’esposizione ai veleni di una fabbrica che, come scrissero i periti nel 2012, causa “malattie e morte”.