L’Italia al momento è un Paese non organizzato per affrontare un problema emergenziale pesante” . Così, a “Piazzapulita” (La7), Massimo Galli, primario del reparto Malattie Infettive dell’ospedale Sacco di Milano, commenta le immagini immortalanti le file chilometriche di persone in attesa di un tampone.

L’infettivologo, che si dichiara completamente d’accordo con Andrea Crisanti sull’errore di aver investito troppi soldi in bonus bici e in banchi e non in tracciamento e in sorveglianza attiva sul territorio, puntualizza: “Da tempi non assolutamente sospetti, sostengo che la guerra contro questo virus vive sul campo. E il campo non è rappresentato dagli ospedali, che sono sicuramente una retrovia strategica importantissima, ma dalla possibilità di tracciare il virus e di fare tutti i test necessari sul territorio. Se le persone vanno a fare gli esami in quelle condizioni di calvario, non incentiviamo affatto il controllo, ma lo disincentiviamo”.

Galli si pronuncia poi sull’idea diffusa che il covid provochi meno decessi rispetto al passato: “Santo Cielo, abbiamo dovuto dire più volte una cosa sulla prima grande ondata, che spero possa essere chiamata solo “la grande ondata”, perché altrimenti presupporrebbe una seconda che mi auguro che non ci sia: nella fase iniziale, dovevamo fare i tamponi solo ai malati gravi, che avevano quindi un tasso di letalità elevato. Ora si stanno facendo più test col tentativo di individuare, seguire, tracciare nuovi focolai e bloccarli in tempo. Cioè oggi non solo stiamo vedendo i gravemente malati, ma anche quel 95% delle persone che si infettano – conclude – e che non hanno una grave malattia. E nel loro ambito vediamo anche quel 30- 40% di assolutamente asintomatici. Quindi, se poi fai i conti su quelli che muoiono e non muoiono, sui malati gravi e non gravi, è chiaro che in confronto a mesi fa la realtà è diversa. Però già farsi un giretto nel mio reparto e in molti reparti di tutta Italia in questi giorni ci fa percepire dei segni di ripresa che non avremmo mai più voluto vedere. E ci fa vedere pazienti impegnati, non pazienti all’acqua di rose”.

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