Vladimir Putin. Putin – L’ultimo Zar - 4/4
C’era una volta Vladimir P. Nicolai Lilin abbandona apparentemente il magma storico simbolico del suo romanzare criminale (Educazione siberiana rimane tra i libri più incredibili, fascinosi e sostanziosi dei primi anni duemila) e apre una mano di poker alla Emmanuel Carrère dedicandosi al biopic del diavolo in persona: Vladimir Putin. Putin – L’ultimo Zar (Piemme) è il suo biglietto da visita dallo spettro affabulatorio talmente ampio, autenticamente antropologico, profondamente altrettanto criminale rispetto ai suoi personaggi del passato letterario, da fare paura. Attenzione però: nessuna spocchietta da superiorità morale (“Putin non è un profeta mandato Dio e neppure fa parte delle schiere di Satana”), bensì un naturale, immersivo, totalizzante bagno di popolo nella storia della patria russa per consentire al lettore, oltre il giudizio valoriale sull’eterno presidentissimo oramai frusto potente, di intravedere e scoprire quel milieu socio-culturale della Leningrado novecentesca dove Putin crebbe (“l’università di strada”) in base ai ponyatiya (codici criminali dei ragazzi di strada) imparando che “bisogna picchiare per primi” per sopravvivere ovunque nella vita. Le pagine di Putin ragazzino, a lezione di judo e di sambo, lucidano la sentita verace profonda retorica del popolano qualunque. Quelle del secondo e terzo capitolo “La spia” e “Sul fondo” infittiscono il mistero dell’origine di un potere di fronte all’imperturbabilità del protagonista. Gli ultimi capitoli, compreso “Il finale, ma non la fine” diventano addirittura una critica sommessa ma feroce all’immobilità putiniana, ad una “politica” sempre identica mentre il mondo attorno si trasforma. Sottotraccia, comunque e in ogni pagina, il demonio finisce in quell’alone di malia, in quella magica bolla letteraria del mondo liliniano dove tutto sembra leggenda (ma poi non lo è o magari sì). Voto (tatuatissimo): 7