Cultura

M. L’uomo della provvidenza di Antonio Scurati, romanzo pulp digestivo-evacuatorio su Mussolini da cui però non ci si stacca mai

Il secondo capitolo della saga letteraria sul fascismo (1925-1932) edito da Bompiani esplora ossessivamente le viscere del Duce e la violenza del ventennio con la formula ragionieristica dell’uno più uno: ogni capitolo ha una rielaborazione creativa enfatica di qualche attimo della storia e la relativa conferma veritiera con documenti d’epoca. Unico pregio (e grosso): creare binge reading attraverso personaggi che vengono continuamente ripresentati sempre e rigorosamente nella loro autocelebrativa mefitica eccentricità

“L’alito è pesante, il dolore addominale opprimente, il vomito è verdognolo, striato di sangue”. “La settimana precedente Ercole Boratto, l’autista di fiducia, si è accorto del suo alito pestilenziale dal posto di guida”. “(…) le crisi (…) si annunciano con uno strano appetito, una fame sterile e nauseata, come un matrimonio asciutto, come una gravidanza isterica, poi partono le flatulenze, le eruttazioni”. “Gesù Cristo avrebbe dovuto farci diversamente, dimenticare le budella. Avrebbe dovuto crearci nutrendoci d’aria, oppure ingegnarsi perché il cibo venisse assorbito senza poi bisogno di emetterlo. E invece ha condannato gli uomini alla perenne lotta per svuotare l’intestino, alla via crucis della stitichezza”. Probabile che Antonio Scurati abbia un conto aperto con qualche cattivo e perverso gastroenterologo.

Il suo M. L’uomo della provvidenza (Bompiani), il secondo capitolo di una lunga epopea che verrà, sul Duce e sul ventennio fascista, si apre con una vera e propria tamburellante ossessione digestivo-evacuatoria tra le viscere di Benito Mussolini. Mood pulp che si ripete spesso nelle 625 pagine con un altro apice che riguarda le disinvolte vite sessuali dei gerarchi – qui il “depravato” ex segretario del PNF, Augusto Turati – ancora una volta declinata in una stringente analisi di fluidi e secrezioni corporee. “Che sia fica, cazzo, culo – o tutti insieme – che sia sperma, merda o piscio, l’ossessione sessuale, ecco quel che resta”. Apparentemente romanzo medico olfattivo, sonda rettal letteraria, M. L’uomo della provvidenza riprende subito l’andamento formale del primo capitolo della saga – M. Il figlio del secolo – con una formula ragionieristica dell’uno più uno: la rielaborazione creativa, soffocante e ridondante horror vacui, di un dato storico (esempio: un discorso del Duce al Gran Consiglio del Fascismo) e poi la conferma sintetica dello spunto della “creazione” in dispacci, lettere, frammenti documentali, pubblicati come un bignami da sussidiario in fondo ad ogni capitolo per dire: guardate che è vero.

L’autore poi ne ripete all’infinito la formula per oltre 600 pagine, come già per le altre centinaia del tomo primo, inarcando temporalmente la sua prosa tra il 1925 delle flatulenze post delitto Matteotti fino alla Mostra della Rivoluzione Fascista del 1932 quando Mussolini si ritrova avvolto nella sala U con il celebre sacrario dei martiri fascisti e le scritte “presente!”. M. L’uomo della provvidenza è come se ricominciasse ogni otto-dieci paginette, ad ogni capitolo nuovo. Un punto e a capo singhiozzante che tenta continuamente di annunciare, come una reiterata goccia di Tantalo, l’eternità mitologica e imperiale del Duce e del fascismo, ma soprattutto la violenza inusitata, la sozzura, il sadismo, l’orrore che l’hanno caratterizzato. M, capitolo due e uno, non sono romanzi storici tout court, ma pulsano, raccontano la storia, si gonfiano quantitativamente in maniera ipertrofica, attraverso le caricature grottesche, ripugnanti, in alcuni istanti perfino ridicole, dei personaggi politici “alti” del ventennio (il capo della polizia Bocchini, Turati, Farinacci, il generale Rodolfo Graziani, ma ce ne sono decine). La verità del passato passerebbe dalla deformazione iperrealistica delle flatulenze, come delle sfregole (sempre sozze) di gerarchi, figli idioti, segretari e satelliti orbitanti attorno al Duce, ma anche dai limiti umani e strategici dei miseri tapini, presunti oppositori (si salva giusto Gramsci, forse perché già deformato fisicamente da madre natura), anarchici bombaroli e attentatori, dipinti sempre come freaks dissennati della storia. Formalmente Scurati punta tutto sulla sottolineatura della sovrabbondanza, non tanto di una spuria prolungata aggettivazione con singoli termini, ma con periodi mostruosamente fiume, declinazione/elencazione elefantiaca di uno stesso tema dove sembra come ripetere con enfasi letteraria apparentemente elaborata quella retorica vuota del fascismo comunque oggetto di studio, fastidio morale e presa di distanza etica.

M. L’uomo della provvidenza ha poi un altro grave handicap, impossibile storicamente da superare se si vuole il costante descrivere anno dopo anno, mese dopo mese, senza particolari licenze di taglio, delle gesta di Mussolini. Svanita la sorpresa del tomo primo, quello dei personaggi sconosciuti che fecero la tragica impresa della dittatura, quel brulicare di eccentrici attorno al capo, oltretutto prima del 1922 ancora in disgrazia, ecco che emerge il canovaccio seriale, l’idea che il racconto proceda orizzontalmente rispetto al tempo della storia senza immergersi nella vertigine verticale dell’esplosione di un singolo evento o di una singola psicologia. Del resto la Storia stessa non fornisce a Scurati fatti memorabili e succulenti. Le imprese guerrafondaie e omicide coi gas nel deserto libico di De Bono e Graziani non hanno un sufficiente macabro appeal che invece avrà la successiva guerra in Etiopia. Identico discorso per le beghe milanesi del partito dove a podestà, segretari, mezze calzette in camicia nera, si intrecciano i fratelli Mussolini, Benito e Arnaldo, che nemmeno fosse una puntata di Beautiful.

Per non parlare della fiacca vicenda dei Patti Lateranensi che dopo quasi cent’anni non appassionerebbe nemmeno uno dei più pii vaticanisti. Eppure un pregio, e molto grosso, M. L’uomo della provvidenza, come del resto M. Il figlio del secolo ce l’ha: fatichi a staccarti dalle sue pagine. Mica è una questione di lingua nuova o di originalità didattica. Qui siamo in pieno banalissimo compulsivo binge reading studiato a tavolino nei minimi dettagli di ritmo e pause nel far entrare/uscire i personaggi dalla scena, qualunque cosa essi facciano (o soprattutto non facciano). L’importante è che ogni volta ripropongano se stessi, rimirandosi nell’ostentazione celebrativa della loro eccentricità mefitica. Tanto basta per Scurati per ri-scrivere nuovamente quella storia. Anche se è letterariamente lecito chiedersi cosa potrà mai aggiungere ri-scrivendo la già abominevole Repubblica Sociale Italiana, o al pulp naturale di Piazzale Loreto con Mussolini scarnificato a testa in giù.