Il cantautore torna con “Cinema Samuele” e dieci brani inediti a sette anni di distanza dall'ultimo disco. Una lunga assenza dovuta al blackout creativo (“la gente mi chiedeva se avessi smesso di lavorare”) poi il lockdown ha dato la spinta giusta per chiudere il lavoro. Dalla politica ai giovani di oggi, Samuele Bersani si racconta a IlFattoQuotidiano.it
Forse ci siamo disabituati alle storie, alle belle parole della nostra lingua italiana, ai racconti su cui soffermarci un secondo in più per immaginarne volti e azioni. Ci ha pensato Samuele Bersani a colmare questa lacuna immaginaria e musicale con le dieci canzoni di “Cinema Samuele”, che ha esordito al terzo posto della classifica FIMI degli album più venduti della settimana. Un ritorno a sette anni dall’ultimo disco di inediti con dieci storie che non sono solo autobiografiche ma che raccontano anche mondi immaginari, amori intensi, ricordi sospesi.
“Ho vissuto un momento di difficoltà creativa e non era la prima volta che mi accadeva – racconta Samuele -. Io vivo per scrivere e ho vissuto abbastanza in giro negli ultimi anni. Sono stato a Milano in periferia in zona Ripamonti per un anno, poi mi sono trasferito a Parma per un altro anno. Ho lavorato soprattutto sulle musiche per creare una specie di colonna sonora. Cantavo in finto inglese. Una volta tornato a Bologna ho scritto tutto il resto del disco. Il lockdown mi ha dato la spinta finale che mi ha consentito di ultimare tutto”.
Lucio Dalla diceva che per scrivere una canzone bastava stare fuori dai palazzi e immaginarsi quello che succedeva dentro una casa. Oggi è ancora così?
Stiamo vivendo un momento molto particolare e sicuramente se mi avessi posto questa domanda lo scorso anno, avresti avuto un’altra risposta. Vedo che l’Italia sta vivendo un momento di sospensione, difficile non comprendere appieno la rabbia che c’è intorno.
A cosa ti riferisci?
È facile puntare il dito contro gli adolescenti che non usano la mascherina e ‘fanno movida’. I ragazzini hanno sempre fatto tutto e il contrario di tutto. Ho una grande attenzione verso le nuove generazioni. Quelli che mi preoccupano sono gli adulti.
Perché?
Si comportano da bambini capricciosi perché, in fondo, hanno paura di invecchiare. Li vedi per strada o al mare e parlano solo dei tatuaggi che hanno addosso, con un po’ di presunzione mi sembra di percepire in loro la sindrome di Peter Pan. Non parliamo poi della competitività tra adulti e bambini, quando giocano videogiochi. Il padre vuole vincere anche contro il proprio figlio. Per fortuna esistono anche delle mosche bianche, che mi fanno capire che la situazione è meno peggiore di come sembra.
Come sono i giovani di oggi?
Sono nativi digitali. Bambini e adolescenti che hanno sviluppato questa dipendenza nei confronti di cellulari. Questo accade perché sin da subito gli adulti regalano loro questa droga tecnologica, con la scusa del controllo. Ma i nostri genitori come facevano? Facevamo una telefonata dalla cabina telefonica a casa e si viveva bene lo stesso. Ora c’è una forma esasperata di controllo.
È per questo che gran parte degli adolescenti fa fatica con le relazioni?
Anche il rapporto con il sesso è deviato. I ragazzini di 11-12 anni hanno accesso alle piattaforme e vedono tanti porno e subito con la conseguenza che nella vita privata pensano di essere loro stessi pornostar. Si scontrano con la realtà e vanno in crisi.
È cambiato anche il gusto musicale?
È sorprendente come in alcuni testi la donna sia raffigurata solo come una puttana. Si usano spesso il termine ‘bitch’ e a forza di ripeterlo perde di significato. C’è un machismo pericoloso nell’aria.
Però tu hai detto che la gente si esprime meglio rispetto alle canzoni che ascoltano…
Però si esprime peggio rispetto a 30 anni fa, c’è una regressione linguistica totale.
Nel tuo nuovo album “Cinema Samuele”, nella canzone “Mezza bugia” canti “preferisco una mezza bugia diluita in un litro di vino al bicchiere di verità che mi dai al mattino”. Le parole sono importanti?
Certo e in questo caso si parla di una storia sentimentale, si spera sempre che prevalga la verità. Poi, per esperienza, posso dire che non è così. Ho provato a vivere una storia che poi si è rivelata diversa da quella che immaginavo, perché c’erano molte più bugie di quelle che vedevo io.
Due donne si amano in “Le Abbagnale”. Cosa pensi del fatto che ancora non è stata approvata una legge contro l’omolesbotransfobia?
Arriviamo sempre più tardi di vent’anni rispetto ad altri Paesi. Non è la prima volta che affronto questo tema. Da eterosessuale ho sempre visto l’amore negli altri con molta gioia. Sono contento quando vedo gli altri felici, indipendentemente dal sesso o dal colore della pelle. Personalmente sono per la libertà assoluta ma, parlo in generale, sono contrario a ogni forma di esibizionismo. Mi spiego meglio, a me piace baciare una ragazza su un ponte ma se dovessi scegliere preferirei baciarla a casa.
Com’è nata questa canzone?
Ho visto due ragazzine a Parma che si tenevano per mano e mi hanno colpito subito per la loro tenerezza: è stata la scintilla che ha fatto scattare la canzone. Ho provato a immaginare e descrivere le vite di queste due ragazze che vengono da due famiglie di diversa estrazione sociale. ‘Le Abbagnale’ parla di amore ma anche di amicizia.
Nel 2006 con “Lo scrutatore non votante” raccontavi dell’incoerenza degli uomini. La politica è cambiata oggi?
Molte cose sono cambiate e la politica ha molto meno fascino: è più verbosa meno dialettica, piena di slogan. Viviamo in una campagna elettorale costante con alla base una certa aggressività.
Nel booklet hai ringraziato “chi in tutto questo tempo non mi ha chiesto se avessi smesso di scrivere canzoni”. Come mai?
Ho avuto un momento pesante di blackout creativo. In quel momento quando uscivo da casa e incontravo persone che mi chiedevano perché avessi smesso di lavorare, ho accusato un po’ il colpo. Non è stato bello, è stato un po’ deprimente. Per fortuna c’era anche chi mi ha solo incoraggiato a non mollare.
Hai passato il lockdown da solo con il tuo gatto. È stato difficile?
Mi sono anche fatto male, ho avuto un edema femorale e la situazione era difficilissima perché non si poteva uscire e molti ospedali si erano trasformati in centro Covid. Il lockdown mi ha ingrigito e non ne potevo più. Tutti i miei colleghi cantavano dai balconi mentre io non ne avevo uno! (ride; ndr) Ho provato grande invidia a non avere un balcone con una vista sul Pantheon. Davanti casa mia c’è una scuola che di solito era anche motivo di fastidio, perché c’erano ragazzi scatenati come bestie, oggi dopo il lockdown si sono ingentiliti. Confesso che mi sono mancati molto. Mi metteva tristezza sentire il vento che sbatteva sulle finestre della scuola chiusa.
Sui social hai condiviso una foto con Giuliano Sangiorgi ed Emma. Siete amici?
Con Giuliano siamo amici da tanti anni. Sono andato a trovarlo e per caso ho trovato lì Emma. Ci conoscevamo già e mi ha colpito molto, ora ci scriviamo spesso. È schietta in modo adulto, la trovo molto sincera e si vede che ha il magone. Mi ha colpito tantissimo la sua enorme forza vitale. Se vivessimo vicino la andrei a trovare spesso per chiacchierare.