Giorni a parlare di Juventus-Napoli, di De Laurentiis e Agnelli, della Asl e di De Luca, del protocollo Figc unica ancora di salvezza della Serie A. Dall’altra parte dell’Europa la piccola Islanda quel protocollo (non proprio lo stesso, quello dell’Uefa, ancora più importante) l’ha spazzato via in un paio d’ore, rinviando la partita con l’Under 21. La dimostrazione che i tornei, nazionali e internazionali, non dipendono da tamponi e protocolli, non soltanto almeno. L’ultima parola ce l’avranno sempre i governi, solo loro possono decidere se giocare o meno e salvare i campionati di calcio. Il problema del calcio è che non sembrano volerlo fare.
È stata la settimana della sosta, accompagnata dalle polemiche sull’opportunità di far disputare le gare delle nazionali. Quella fra club e Uefa è la solita guerra fra poveri, o meglio fra ricchi che si sono riscoperti poveri a causa del Covid: è vero, non è proprio il momento migliore per andarsene in giro per l’Europa. Però la presunta supremazia dei campionati sulle nazionali è tutta da dimostrare. E poi c’erano in arretrato gli spareggi di qualificazione a Euro 2021, quindi ci si sarebbe dovuti fermare comunque, almeno parzialmente, anche cancellando qualche amichevole oggettivamente inutile.
Molto più dei risultati degli azzurri (0-0 in Nations League con la Polonia, dopo la vittoria tennistica sulla Moldavia), stavolta però hanno fatto notizia gli azzurrini. Loro malgrado: venerdì il match (di qualificazione agli Europei di categoria, non un’amichevole) contro l’Islanda è stato rinviato per la positività di tre italiani all’arrivo a Reykjavik. Le autorità locali, rigidissime sulle policy anti-Covid, di mandare in campo contro i propri ragazzi una squadra piena di potenziali infetti proprio non ne volevano sapere. Altro che “giochiamo finché ci sono 13 titolari”, come previsto dal regolamento internazionale. Beffa delle beffe: se l’Islanda non dovesse accettare la data di recupero (probabilmente a novembre), pare che la gara verrebbe decisa per sorteggio. Siamo al protocollo Uefa che salta in casa della Uefa.
Il mondo del calcio è unito (più o meno, il caso Napoli qualche dubbio lo fa venire) sulla necessità di non fermarsi. Su questo Lega Serie A, Figc, Uefa, hanno ragione: il protocollo attuale, basato sul principio di isolare gli infetti ma lasciar giocare anche i contatti stretti finché risultano negativi, è l’unica maniera per salvare i campionati. La quarantena non è compatibile con il calendario del calcio moderno. Potrebbe esserlo al massimo con dei format diversi (meno gare, playoff), che possono piacere o meno ma richiederebbero una visione di sistema, che il calcio europeo sicuramente non ha.
Tutta questa vicenda però dimostra che le sorti del pallone non dipendono dal pallone. A scanso di equivoci, non vuol dire che la Asl di Napoli abbia fatto bene o male, che il Napoli avesse ragione e la Juve torto: non è un giudizio di merito, solo una constatazione. Si possono fare tutti i protocolli del mondo. I tecnici si affannano per apportare correttivi (come anticipato dal Fatto, la Figc ora pensa ad un nuovo, doppio tampone rapido, non solo prima del match ma anche prima della trasferta), ma alla fine tutto dipenderà sempre dalle autorità. Il calcio potrà andare avanti solo con l’accordo convinto dei governi. Partendo dal presupposto che la positività di 5 o 10 calciatori non costituisce un problema di ordine pubblico finché i calciatori si attengono al protocollo (su questo ha ragione il ministro Spadafora a pretendere rispetto), le istituzioni dovrebbero decidere in modo chiaro e inequivocabile che i campionati potranno andare avanti, senza rimettere tutto in discussione al prossimo focolaio o impennata dei contagi. La scelta è politica. Ma la politica, non solo quella italiana, ha ben altro a cui pensare.