Il fumetto che ha ispirato la serie Amazon The Boys è una parodia del genere supereroistico volutamente grottesca, esagerata e violenta, e abbiamo visto come la sua trasposizione live action, ideata da Eric Kripke (Supernatural, Il mistero della casa del tempo) abbia saputo sfruttare quelle atmosfere per proporre, nella prima stagione, un discorso iperbolico su propaganda e potere nell’America trumpiana.
Nella seconda stagione, ogni elemento che ha reso caratteristica la serie precedente acquista tinte più fosche, più controverse e più ciniche, se possibile. All’inquietante Homelander (Antony Starr), un Superman manipolatore ed egotico senza alcun reale rispetto per la vita umana, si aggiunge quale antagonista l’altrettanto potente Stormfront (Aya Cash), all’apparenza una supereroina femminista, anticonformista e allergica alla retorica patriottica, la quale si rivela essere un’agente nazista sopravvissuta fino ai giorni nostri.
Perversamente razzista e spregiudicata, riesce a conquistarsi – a furia di sesso superumano e deliri suprematisti – la lealtà di Homelander, archittettando un piano che prevede l’aumento delle persone dotate di superpoteri a beneficio della sicurezza nazionale, attraverso una propaganda xenofoba. Nella “felice” unione tra i due, la serie traspone tutte le affinità mal celate tra il conservatorismo più feroce e autocompiaciuto a stelle e strisce, e la più rampante alt-right.
Ciò che li unisce è l’ossessione per i privilegi dell’etnia dominante, il desiderio di conquistare il consenso delle masse fomentando paure e odio nei confronti delle diversità, e un’ipocrisia strisciante, imbevuta di un mal posto senso di superiorità. Sul loro cammino, ancora una volta, l’Armata Brancaleone guidata dal violento e cinico Billy Butcher (Karl Urban), un ex operativo della Cia a cui i supereroi hanno distrutto la vita e la famiglia.
Il conflitto tra i due maschi alpha della serie raggiunge il suo apice in questa stagione, in quanto la moglie di Butcher ha avuto un figlio con Homelander, e il bambino pare avere gli stessi poteri del genitore, ma un temperamento diametralmente opposto. Le nuove generazioni sembrano dunque contese, nell’interpretazione della serie, tra i disumani deliri di onnipotenza del presente e un verace nichilismo da vecchia scuola, verso cui sembrano pendere le simpatie della serie (almeno finora).
E in effetti The Boys, va detto, soprattutto in questa stagione pare non far mistero della sua visione politica complessiva. Da un lato sbeffeggia il bieco sfruttamento, a fini pubblicitari, di alternative allo status quo che il pubblico ritiene accettabili (quali la relazione della supereroina Queen Maeve con un’altra donna), dall’altro sembra sfiduciare l’ottimismo di certe campagne mainstream per la giustizia sociale. A dispetto dell’orrore e delle tinte oscure con cui la serie tratteggia la destra americana, infatti, sul finale di stagione si sbilancia anche nei confronti dei wunderkind democratici, facendo della candidata democratica al Congresso Victoria Neumann (palesemente ispirata ad Alexandria Ocasio-Cortez) uno degli antagonisti segreti della storia.
Nonostante abbia basato la sua ascesa politica sull’opposizione ai tirannosauri dell’industria è infatti lei, grazie a superpoteri di cui nessuno è a conoscenza, a far esplodere le teste di tutti quelli che vogliono testimoniare contro la multinazionale Vought, mettendone in pericolo la sopravvivenza. Per capire quali siano le sue reali motivazioni sarà necessario attendere la terza stagione, ma trattandosi di una serie di punta di Amazon, una mega-corporazione le cui iniziative sono spesso state apertamente contestate e combattute da Ocasio-Cortez, la scelta narrativa appare tutto meno che neutrale.
Forse gli autori vogliono sottintendere che anche alcuni campioni della giustizia sociale, per farsi a loro volta establishment, hanno bisogno che la propria gigantesca nemesi rimanga viva e in salute. Forse è un colpo basso della produzione, oppure (come spera chi vi scrive), siamo semplicemente caduti nella trappola del cliffhanger e verremo presto smentiti dagli sviluppi futuri della trama.
Quello che è certo è che una serie come The Boys, proprio per la sua tendenza a non essere neutrale, ha finora saputo ravvivare un genere supereroistico che iniziava qua e là a perdere colpi. Al di là delle interpretazioni che si danno ai suoi contenuti, lo spettacolo mantiene il pregio di saper restituire al pubblico, nella sua dialettica ipertrofica e chiassosa, un alto coefficiente di inusuale intrattenimento.