È una delle società sponsorizzate dal governo Usa. Il trattamento sperimentale è simile a quello sviluppato dalla casa farmaceutica Regeneron, alla cui terapia è stato sottoposto Trump
A poche ore dalla decisione di Johnson&Johnson sul vaccino, un’altra casa farmaceutica, la Eli Lilly, una delle società sponsorizzate dall’amministrazione Trump ha dovuto interrompere un’altra sperimentazione per un altro possibile e diverso strumento per cercare di arginare l’epidemia di coronavirus: ovvero il trattamento che ricorre agli anticorpi su cui ci sono molte aspettative dal punto di vista terapeutico. Lo stop è arrivato per “possibili preoccupazioni legate alla sicurezza” come riporta il New York Times citando alcune email inviate da funzionari governativi ai ricercatori e alle cliniche interessate.
Il trattamento sperimentale di Eli Lilly ricorre all’uso di anticorpi monoclonali. Si tratta – riporta la testata americana – di un trattamento simile a quello sviluppato dalla casa farmaceutica Regeneron alla cui terapia è stato sottoposto il presidente Donald Trump dopo che gli è stato diagnosticato il Covid-19. Una terapia la cui approvazione e massiccia distribuzione, ha affermato nei giorni scorsi il presidente, potrebbe essere imminente. La settimana dopo che Trump ha ricevuto il trattamento, infatti, Eli Lilly e Regeneron hanno fatto una richiesta per una approvazione d’emergenza dei loro prodotti da parte della Fda.
Il test del trattamento voleva verificare i benefici su centinaia di persone ricoverate con il Covid-19, paragonato con un placebo. Tutti hanno anche ricevuto il Remdesivir, un altro farmaco sviluppato per curare Ebola ma utilizzato nei momenti iniziali dell’epidemia off label e da giugno approvato dall’Agenzia europea del farmaco. Non è chiaro quanti volontari nel test abbiano sviluppato complicazioni, né quali siano. Molly McCully, portavoce di Eli Lilly, ha confermato la pausa nei test: “La sicurezza è della massima importanza per Lilly“, ha sottolineato.
NOTA – In una prima versione del titolo del pezzo avevamo utilizzato impropriamente il termine “vaccini”. Ce ne scusiamo con i lettori