Cerchi per un po’ di afferrare un attacco ad effetto per la recensione al film Due di Filippo Meneghetti. Quando all’improvviso ti accorgi che basterebbe esporre in tutta la sua rigorosa dolcezza il titolo. Due, così secco, o Deux, come in originale. Una sorta di guscio protettivo per una forma d’amore profonda, totale, infinita. Madeleine “Mado” (Martine Chevallier), la partner più anziana e introversa, madre, nonna, vedova apparentemente infelice agli occhi dei figli adulti. Nina (Barbara Sukowa), l’altra donna della coppia, più giovane e istintiva, dirimpettaia sullo stesso pianerottolo di Mado da decenni.
Le due donne si amano da un tempo che sembra eterno, segretamente, in silenzio, di nascosto da parenti e conoscenti, tra lunghe notti d’amore e giornate fatte di chiacchiere da divano e letture sulla panchina di un lungo viale alberato di fianco a un fiume. Fino a quando è giunto il momento per Mado di vendere casa, ricavarne un po’ di quattrini e trasferirsi a Roma, il sogno di una vita. Nina solitaria, fumatrice, intraprendente, preme. Vuole che finalmente tutto si riveli. Che Mado confessi anche in famiglia di essere lesbica e di vivere una relazione con lei. Ma un imprevisto nella salute di Madeleine rimette in gioco ogni prospettiva, anche solo quella del semplice amore quotidiano fatto di carezze e clamorose incazzature. Proviamo a dire poco, a girare attorno al colpo di scena che avviene dopo una mezzoretta di film. Perché da lì in avanti Mado si “ammutolisce” e Nina è costretta a vivere nuovamente separata dall’amata, questa volta accudita e curata in modo soffocante da una badante e dalla figlia.
Il punto di osservazione di Nina diventa l’occhiolino della porta da cui sbirciare le azioni compiute a casa dell’amata. Due diviso due del resto, e banalmente, fa uno. E quello che prima stava naturalmente insieme, ora l’ignoranza e la ritrosia conformista tendono a separarlo. Meneghetti giostra il distanziamento a pochi metri tra le protagoniste come fosse un sottilissimo e compunto thriller psicologico, un pentagramma hitchockiano imbevuto di acuti introspettivi bergmaniani. Due si fa così gioco di spazi sempre più angusti dove sopravvivere con le proprie emozioni e sentimenti. Come in quei film d’avventura dove la roccia sotto i piedi si assottiglia ad ogni secondo costringendo i coraggiosi avventurieri ad avvicinarsi fisicamente tra loro. Mado e Nina devono ripercorrere la strada da capo, riavviare e ricongiungere nuovamente corpi e anime, quando la vita pareva già aver concesso loro la quiete.
Così sulle note, anche immaginate, di Charlot – Sul mio carro cantato da Petula Clark, la relazione vitale tra le due donne si trasforma in qualcosa di universalmente assoluto come nemmeno in un melò anni cinquanta. Chevallier e Sukowa sono semplicemente superbe. Lea Drucker (la figlia di Mado) che ha scoperto da attrice la fama sui quarant’anni, cerca di stare loro dietro, ma si comprende che mentre queste due regine si mangiano la scena rimangono solo briciole per chiunque. Meneghetti è comunque capace di costruire un percorso visivo oltre il racconto, oltre l’intuizione narrativa della storia (sceneggiatura sua assieme a Malysone Boworasmy e Florence Vignon), esplorando, svuotando e ricostruendo continuamente questo spazio casa/appartamento di Mado – i crediti dicono 28 avenue Boisson Bertrand a Montpellier – come fosse un palco teatrale continuamente rimodulato senza cambio scena. In sala dal 5 novembre con Teodora. Guai a perderlo.