Il primario, un viaggio in Thailandia e un focolaio di coronavirus scoppiato all’ospedale San Martino di Belluno. E ora la procura indaga per epidemia colposa aggravata Roberto Bianchini, 61 anni, dirigente del reparto di Otorinolaringoiatria e, assieme a lui, ma per il reato di falso, quattro medici che avrebbero cercato di nascondere il fatto che il collega avesse continuato a lavorare nonostante i sintomi del Covid-19.
I fatti risalgono all’inizio della pandemia, quando al San Martino si sarebbero verificati quattro contagi diretti e vennero effettuati un centinaio di tamponi sul personale sanitario e sui pazienti. Secondo l’ipotesi del procuratore Paolo Luca, il dottor Bianchini avrebbe continuato a lavorare per altri sei giorni dopo che aveva cominciato a manifestare i sintomi del Covid. Dal 14 al 21 febbraio era stato in vacanza sull’isola di Ko Samui, una famosa località balneare thailandese. Nel paese asiatico era stato riscontrato ancora a gennaio il primo caso di infezione al di fuori della Cina. Secondo la Procura, dopo il ritorno in Italia, il primario avrebbe dovuto innanzitutto sottoporsi alla permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva, anziché recarsi al lavoro. Era invece tornato in reparto dedicandosi alla normale attività, che consisteva in un contatto diretto con i pazienti, di cui controllava personalmente le vie aeree, bocca, naso e gola.
Proprio a causa dei primi sintomi, il dottor Bianchini, su indicazione di Raffaele Zanella, direttore medico del San Martino, aveva effettuato un controllo al Dipartimento di prevenzione. Ma l’esito era stato negativo. In quella occasione avrebbe dichiarato che durante la vacanza non aveva frequentato luoghi particolarmente affollati e non aveva partecipato a tour organizzati assieme ad altri turisti. In realtà, stando agli accertamenti durante l’indagine, si era recato anche in altre isole. Dal 3 marzo il dottor Bianchini aveva cominciato a manifestare sintomi più marcati, ma aveva continuato a lavorare per sei giorni, finché – particolarmente provato – aveva deciso di sottoporsi al tampone. Era risultato positivo. A seguito dei contatti, una settantina di persone erano state messe in isolamento. Per questo è indagato di epidemia colposa aggravata.
L’ipotesi di falso e favoreggiamento, invece, riguarda Raffaele Zanella, presidente dell’Ufficio procedimenti disciplinari dell’Usl 1 Dolomiti, e tre componenti dell’Ufficio, Antonella Fabbri, Cristina Bortoluzzi e Tiziana Bortot. Secondo la procura sarebbe stato modificato il fascicolo del procedimento disciplinare interno, poi archiviato. In particolare, sarebbe scomparso il verbale di una seduta avvenuta all’inizio di aprile in cui i fatti erano ricostruiti con precisione e che i militari della Guardia di Finanza che stavano indagando avrebbero voluto acquisire.
Il procuratore Luca ha anche chiesto la sospensione per tre mesi di Bianchini, Zanella e Fabbri, ma il gip e il Tribunale del riesame hanno respinto la richiesta. I pm continuano l’inchiesta penale: “Se in ipotesi il comportamento tenuto sino a tale data può essere attribuito a superficialità o a personale (ma ingiustificata) sottovalutazione del problema epidemiologico in atto, altrettanto non può dirsi dopo il 3 marzo, quando la sintomatologia apparsa non poteva essere più sottovalutata”. L’Usl 1 non commenta, ma conferma di aver “assicurato la massima disponibilità agli inquirenti, mettendo doverosamente a disposizione gli atti e la documentazione richiesti”.