Per anni sono stati in silenzio e hanno pagato il pizzo. Ma i commercianti e gli imprenditori del quartiere Borgo Vecchio a Palermo si sono ribellati al racket e hanno denunciato le estorsioni dei mafiosi. Le denunce hanno portato all’arresto da parte dei carabinieri di 20 esponenti della famiglia mafiosa del quartiere nel centro storico della città: le manette sono scattate boss, gregari ed esattori del clan. Le estorsioni, aggravate dal metodo mafioso, sono state ricostruite dagli investigatori nell’indagine della procura Distrettuale Antimafia di Palermo: ventidue in totale quelle accertate finora, sei consumate e 16 tentate, che venivano perpetrate ai danni di commercianti e imprenditori operanti nel territorio di competenza della famiglia mafiosa. Gli inquirenti hanno hanno ricostrustruito due episodi di “cavallo di ritorno”, tipico metodo estorsivo della zona: viene chiesto di pagare un “riscatto” per riavere indietro la merce rubata, spesso un ciclomotore o un’automobile.

Significativo il numero delle denunce spontanee: 13 casi sono stati scoperti proprio grazie ai commercianti estorti, mentre altri 5 episodi sono stati ricostruiti dalle indagini ma poi confermati pienamente dalle vittime. I 20 arrestati sono ritenuti a vario titolo responsabili dei delitti di associazione per delinquere di tipo mafioso finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, ai furti e alla ricettazione, tentato omicidio aggravato, danneggiamento seguito da incendio, estorsioni consumate e tentate aggravate, danneggiamento aggravato, furto aggravato e ricettazione. L’indagine, diretta dal procuratore aggiunto Salvatore De Luca, è una fase di un’articolata manovra condotta dal Nucleo investigativo di Palermo sulla famiglia mafiosa di Borgo Vecchio che, sottolineano gli investigatori, “ha consentito di comprovare la perdurante operatività di quell’articolazione di Cosa Nostra dopo l’ultima operazione del novembre 2017“.

La mafia assiste economicamente le famiglie degli affiliati detenuti, s’infiltra nel mondo del tifo organizzato del Palermo calcia, esercita il controllo dei gruppi ultras locali, e organizza la festa della patrona del quartiere. Gli investigatori, infatti, ricostruiscono il “capillare controllo del territorio estrinsecatosi anche attraverso la continua ricerca del consenso verso un’ampia fascia della popolazione”. A Borgo Vecchio “i mafiosi continuano a rivendicare, con resilienza, una specifica funzione sociale attraverso l’imposizione delle proprie decisioni per la risoluzione delle più diverse problematiche: dai litigi familiari per motivi sentimentali alle occupazioni abusive di case popolari o agli sfratti per mancati pagamenti di affitti al proprietario di casa”. Nell’operazione, infatti, è emersa “la pesante ingerenza nell’organizzazione delle celebrazioni in onore della patrona del quartiere, Madre Sant’Anna, previste dal 21 al 28 luglio del 2019″. Secondo le indagini, le serate canore, animate da alcuni cantanti neomelodici, venivano organizzate da un comitato che, di fatto, era controllato da Cosa nostra. I mafiosi sceglievano e ingaggiavano i cantanti. Tra questi – stando alle indagini – c’era Niko Pandetta, che era solito aprire i suoi concerti dedicandoli “a chi purtroppo sta al 41-bis“. Il suo affetto verso i boss lo aveva ribadito anche durante un’intervista tv nel 2019. Celebre neomelodico palermitano, era amico del boss Jari Ingarao, che incontrava nonostante fosse ai domiciliari. Ingarao, ora in carcere, aveva incaricato alcuni suoi uomini di costringere i commercianti del rione a sponsorizzare un concerto di Pandetta. Parte dei ricavi dovevano andare nelle casse del clan. Ma l’esibizione non si tenne, perché dopo le parole prounciate in tv al cantante fu vietato di esibirsi. “Gli ho detto io a lui: fatti un tatuaggio e ti scrivi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e si risolvono i problemi”, consigliava a Pandetta uno dei mafiosi intercettati.

C’erano anche il tifo organizzato del calcio fra i settori di ingerenza della famiglia di Borgo Vecchio. “Le indagini – scrivono gli investigatori – hanno delineato un significativo quadro di rapporti fra le tifoserie calcistiche palermitane e Cosa nostra. Non è emerso, però, – precisano – alcun coinvolgimento della società che gestisce la squadra”. Anche se dal punto di vista strettamente territoriale, lo stadio Barbera di Palermo ricade nel territorio di confine fra i mandamenti mafiosi di Resuttana e San Lorenzo-Tommaso Natale, i vertici della famiglia mafiosa di Borgo Vecchio hanno mostrato “un pressante interesse affinché i contrasti fra gruppi ultras organizzati del Palermo fossero regolati secondo le loro direttive, evitando spiacevoli scontri fra ultras all’interno della struttura sportiva, ritenuti da un lato dannosi per lo svolgimento delle competizioni e dall’altro fonte di possibili difficoltà per uno storico capo ultras rosanero, elemento di contatto fra cosa nostra e il variegato mondo del tifo organizzato cittadino”.

L’operazione ha permesso di individuare il nuovo reggente della famiglia di Borgo Vecchio, Angelo Monti, che si è occupato della riorganizzazione dell’articolazione mafiosa, affidando posizioni direttive a suoi uomini di fiducia. Arrestato già nel 2007 perché ritenuto al vertice della famiglia e dal 2017 era sorvegliato specialeIn primis, Monti si avvaleva della collaborazione di suo Girolamo, suo braccio destro, con cui aveva già diretto la famiglia fino al loro arresto nel 2007. A Giuseppe Gambino spettava il compito di tenere e gestire la cassa della famiglia. Poi Salvatore Guarino, già condannato in via definitiva per associazione di tipo mafioso, si avvaleva di Giovanni Zimmardi, Vincenzo Vullo e Filippo Leto per organizzare e commettere le estorsioni ai danni dei commercianti. Jari Massimiliano Ingarao, nipote di Angelo Monti, gestiva il settore del traffico di sostanze stupefacenti, con l’aiuto dei fratelli Gabriele e Danilo.

Un’attività che Ingararo portava avanti nonostante si trovasse agli arresti domiciliari. La droga, reperita per la maggior parte in Campania, serviva per rifornire le varie piazze di spaccio del quartiere, compito che toccava ai due fratelli Gabriele e Danilo Ingarao che, a loro volta, si avvalevano di un gruppo di indagati. La famiglia, oltre a definire le linee guida del settore del traffico di stupefacenti, controllava direttamente anche i dettagli organizzativi, la contabilizzazione dei ricavi, la determinazione di ulteriori investimenti di settore, nonché la gestione del denaro confluito nella cassa della famiglia mafiosa. La “famiglia” si occupava anche di “autorizzare” i commercianti ambulanti a vendere i prodotti durante la festa, disciplinando anche la loro collocazione lungo le strade del rione. In un’occasione, uno degli esponenti della famiglia, Jari Massimiliano Ingarao aveva incaricato alcuni complici di invitare i commercianti del quartiere a sponsorizzare l’esibizione canora di una cantante neomelodica avvenuta il 6 dicembre 2019 al teatro Don Orione di Palermo.

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