Quando si parla di allevamenti intensivi, si pensa soprattutto a quelli terrestri, dove vengono allevati maiali, mucche e polli. Capannoni sporchi e malsani, dove gli animali vivono in condizioni di sovraffolamento e stress psicofisico. Esistono però anche gli allevamenti intensivi acquatici, conosciuti come allevamenti ittici, le cui condizioni non sono affatto dissimili da quelle degli omologhi terrestri. Difatti, anche la produzione di pesce risponde a dinamiche industriali e questo è da ricondurre all’aumento dei consumi.
Il pesce è diventato una delle scelte proteiche più amate dagli italiani: in media, ogni cittadino ne consuma più di 30 kg annui, di cui la metà proviene da allevamenti ittici di tipo intensivo. L’idea che tutto il pesce che si compra al supermercato sia stato pescato in mare è ottimistica, e nel futuro lo sarà sempre di più: si stima che entro il 2030 il 60% del pesce consumato deriverà dagli allevamenti ittici ‒ nel 1974 era il 7%.
Quasi nessuna tutela
Se da un lato il pesce allevato in maniera intensiva sta diventando la fonte di approvvigionamento preminente, dall’altro le leggi di protezione di questi animali sono ancora ben lontane dall’imporre criteri di gestione che siano adeguate alla loro natura. Tra tutte le specie animali considerate “da reddito”, i pesci sono finora quella meno tutelata. Eppure questi sono anche gli animali più macellati al mondo: 2700 miliardi di pesci finiscono al macello ogni anno contro i 74 miliardi di animali terrestri (dati Fao 2016).
Numeri esorbitanti che condannano gli oceani a un progressivo e inarrestabile svuotamento ‒ basti pensare che alcune previsioni indicano che nel 2050 negli oceani ci sarà più plastica che pesce.
Una vita in gabbia
Vista la crescente domanda di pesce e la necessità di affidarsi ad allevamenti intensivi, le condizioni di vita di questi animali si fanno sempre più dure. Per iniziare, le strutture in cui vengono allevati i pesci sono ambienti spogli e privi di stimoli, sprovvisti di arricchimenti ambientali. Le vasche a terra o le gabbie in mare sono caratterizzate da un’elevata densità di pesci e questo provoca alti livelli di stress, anomalie comportamentali, una scarsa qualità dell’acqua e quindi una maggiore diffusione di virus, batteri e parassiti. Per questo motivo, non è affatto rara la somministrazione preventiva di antibiotici a un’intera popolazione di pesci.
Trasporto
Durante il trasporto verso il macello, i pesci spesso subiscono lesioni cutanee, come la perdita di squame e ferite, con conseguente maggiore esposizione alle infezioni, danni oculari e deformazioni scheletriche. Durante le nostre indagini abbiamo spesso documentato come gli individui intrappolati sul fondo delle reti muoiano schiacchiati dal peso degli altri pesci.
Stordimento e uccisione
La normativa comunitaria che disciplina il benessere dei pesci durante le fasi di stordimento e abbattimento è limitata, in quanto non specifica i metodi di stordimento e abbattimento idonei né per i pesci come categoria, né tantomeno per le singole specie. Inoltre, nel regolamento si parla solo di pesci di allevamento, che possono essere sia di acqua dolce che di acqua salata, ma non si menziona il pescato. Come evidenziato anche dal recente rapporto della Commissione Europea e dall’Organizzazione Mondiale per la Sanità Animale (Oie), i metodi di stordimento più diffusi sono inaffidabili o inefficaci, perciò procurano sofferenze inutili agli animali.
Per fare un esempio, in Europa branzini e orate spesso vengono immersi ancora vivi e coscienti in una sospensione di acqua e ghiaccio, finché non muoiono di asfissia. Le basse temperature immobilizzano i pesci i quali, però, rimangono in uno stato di coscienza fino a 40 minuti. Questa pratica è stata documentata da Essere Animali in un’indagine in alcuni allevamenti ittici in Grecia, da cui proviene più della metà delle importazioni italiane di questi pesci.
Animali senzienti
La letteratura scientifica ha ampiamente dimostrato che i pesci sono esseri senzienti in grado di provare dolore e sofferenza. Alcuni possono ricordare la mano umana che li nutre, altri hanno una buona memoria a lungo termine, altri hanno eccellenti memorie spaziali, alcuni ricordano rotte complicate per quasi 40 giorni. Nel 2019 il biologo giapponese Masanori Kohda e i suoi colleghi sono riusciti a dimostrare che una particolare specie di pesce può riconoscersi allo specchio.
#AncheiPesci
Con la campagna #AncheiPesci, Essere Animali vuole fare pressione sulla grande distribuzione organizzata affinché adottino policy di allevamento più severe e vincolino i loro fornitori a ridurre la sofferenza dei pesci allevati nelle loro filiere. La Gdo ha infatti un ruolo molto importante da giocare: oltre l’80% degli acquisti dei prodotti ittici avviene attraverso i canali della grande distribuzione (dati Ismea 2017 e Eumofa 2018). Questo vuol dire che un cambiamento diretto a risolvere i problemi strutturali della filiera deve necessariamente partire da questi attori.
Anche se quella dei pesci è una sofferenza silenziosa, questo non vuol dire sia meno dolorosa. Chiedi anche tu alle catene di supermercati di tutelare anche i pesci.