Il Sei Nazioni 2020 deve ancora finire, ma la prossima edizione è già in bilico. Dal 24 al 31 ottobre si giocheranno le ultime partite del più importante, antico e prestigioso torneo di rugby in Europa, interrotto a febbraio a causa del coronavirus. L’Italia sarà in campo contro l’Irlanda e contro l’Inghilterra all’Olimpico di Roma, ma gli occhi di organizzatori, federazioni e tifosi della palla ovale sono già rivolti al 2021, quando la manifestazione rischia non di non partire neanche o almeno di partire in ritardo.
Il nodo della questione è la possibilità di ospitare pubblico negli stadi: con un numero ridotto – o addirittura zero – le federazioni vedrebbero ridursi drasticamente i propri introiti e questo sta facendo nascere l’intenzione, con i Paesi della Gran Bretagna in prima fila, di rimandare la prossima edizione a data da destinarsi. Se ne sta ancora discutendo, ma in molti sono già di questa idea. “Dobbiamo studiare tutte le ipotesi, ma è una di quelle che stiamo valutando”, ha spiegato il direttore generale del Sei Nazioni Benjamin Morel. Quello che è certo è che iniziare da zero il torneo senza pubblico negli stadi sarebbe sconveniente per tutte le squadre che vi prendono parte.
Se da un lato resterebbero comunque gli introiti dai diritti televisivi, la fetta di guadagni rappresentata dal botteghino ha ancora un grosso peso nelle entrate federali. Il Sei Nazioni è da tempo una piccola miniera d’oro per le Nazionali che vi giocano: guardando alla situazione italiana, le entrate provenienti da questo torneo – tra sponsor, biglietti e diritti tv – nel 2019 sono state superiori al 42% del fatturato complessivo della Fir. All’estero, i guadagni sono ancora maggiori: basti pensare che l’Inghilterra di rugby ha un fatturato che è di quasi 200 milioni superiore a quello italiano. Diventa quindi molto semplice comprendere quale sia il peso del pubblico e degli sponsor che un evento del genere è in grado di creare e perché la proposta di rinviare il torneo di qualche mese sia nata proprio in terra anglosassone.
L’ostacolo principale è rappresentato dal trovare nuove possibili date in cui giocare l’edizione 2021. Febbraio è probabilmente troppo presto perché tornino i tifosi. C’è chi propone di iniziare tra marzo e aprile, ma qui è concreta l’ipotesi che siano i club a dire di no, non volendo “cedere” i propri giocatori alle rappresentative nazionali fuori dalle classiche finestre temporali. Spostarlo in estate è altrettanto complicato perché il prossimo è “l’anno dei Leoni”, ovvero il momento in cui una squadra formata dai migliori giocatori di Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda sfida, in una serie di incontri, le super potenze dell’emisfero sud Australia, Nuova Zelanda e Sudafrica.
L’evento si svolge ogni quattro anni e occupa tutta la finestra temporale estiva. Avendo le sue origini nel 1888, è un evento molto seguito e amato tra gli appassionati britannici e per questo viene ritenuta “inconcepibile” l’idea di rimandarlo. Rimane quindi come unico lasso di tempo possibile quello del prossimo novembre, al posto dei classici test match, già cancellati quest’anno. La questione resta quindi abbastanza complessa, tra interessi economici in ballo e scarsa propensione alla rinuncia dopo un anno già complicato per calendari e casse delle federazione. In attesa del vaccino, nessuno sembra disposto a fare un passo indietro.