Con le loro lame tagliavano la gola ai prigionieri occidentali tenuti in ostaggio tra Siria e Iraq dal sedicente Stato islamico. Tra il 2013 e il 2015 le immagini delle esecuzioni e decapitazioni fecero il giro del mondo, seminando il terrore. Oggi la Procura di Roma ha chiuso le indagini nei loro confronti: si tratta dei ‘Beatles’ dell’Isis, il quartetto di jihadisti con passaporto inglese che ha gestito numerosi sequestri in Siria, compreso quello del cooperante italiano Federico Motka, finito in mano agli aguzzini il 12 marzo del 2013 e liberato nel maggio dell’anno successivo. Tre di loro – Alexanda Kotey, Leslie Aine Davis ed El Shafee Elsheikh sono accusati di associazione con finalità di terrorismo, anche internazionale, e sequestro di persona nell’ambito dell’inchiesta coordinata dal procuratore capo Michele Prestipino e dal pm Sergio Colaiocco. Davis è attualmente detenuto in Turchia, mentre Kotey ed Elsheik, dopo essere stati catturati da parte delle forze curde nel 2018, erano detenuti in Iraq. Sono stati trasferiti in Virginia, negli Usa, il 7 ottobre. Del gruppo faceva parte anche Jihadi John, che è stato ucciso da un drone a Raqqa nel 2015.

La procura di Roma è quindi la prima in Europa a chiudere un’indagine a carico dei ‘Beatles’ dell’Isis, ribattezzati così per il forte accento britannico con cui parlavano nei video che venivano pubblicati in rete e in cui venivano riprese anche le fasi delle esecuzioni degli ostaggi. Nel corso della lunga prigionia l’italiano ha condiviso periodi di detenzione con i giornalisti americani James Wright Foley e Steve Joel Sotloff, trucidati poi in esecuzioni filmate e diffuse sul web, nonché col fotografo e corrispondente britannico John Cantlie, noto per essere stato costretto a svolgere il ruolo di reporter dell’Isis. Gli indagati, nel corso di interviste ai network internazionali avevano ammesso di essere gli autori delle torture di ostaggi occidentali. Nel dicembre del 2018 erano stato emesso nei loro confronti un provvedimento di custodia cautelare dal gip di Roma.

In relazione al rapimento del cooperante italiano Federico Motka, le indagini hanno accertato torture e violenze, come annegamenti ed esecuzioni simulate. Ai quattro vengono contestate “sevizie e crudeltà consistite nella continua minaccia con armi da guerra, in annegamenti simulati (waterboarding), esecuzioni simulate, privazione del sonno, percosse di diversa natura, fra cui sotto le piante dei piedi con oggetti contundenti, continuativa privazione di bisogni fisiologici primari anche per il periodo di 24 ore, scosse elettriche a mezzo di dissuasore (teaser), costrizione e prolungate posizioni forzate e dolorose”, si legge nell’avviso di conclusione delle indagini. “Il fatto è stato commesso – scrivono gli inquirenti italiani – per finalità di terrorismo, per rafforzare e comunque agevolare gli scopi” dell’Isis ”e con richiesta del rilascio di miliziani affiliati all’organizzazione e di somme di denaro destinate all’organizzazione, anche attraverso un messaggio di posta elettronica rivolto alla sorella” di Motka.

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