“Vietato entrare, in questa casa vive una persona sotto osservazione epidemiologica”. In Ungheria, fin dallo scoppio della pandemia in Europa, a marzo, sui portoni delle abitazioni sono comparsi dei cartelli rossi che impedivano a parenti, conoscenti o chiunque passasse davanti di chiedere di entrare in casa perché lì dentro viveva una persona che aveva contratto il coronavirus. Una decisione, quella dell’esecutivo di Budapest guidato da Viktor Orban, che ha provocato proteste soprattutto fuori dal Paese, tra chi l’ha vista come una misura discriminatoria e stigmatizzante, ma che non ha provocato particolari reazioni interne, in uno Stato dove il premier ha chiesto e ottenuto i pieni poteri che, in tre mesi, gli hanno consentito di firmare 180 leggi, molte delle quali bollate come liberticide e discriminatorie.

Se viene rilevata una positività all’interno di un nucleo familiare, spiega a Ilfattoquotidiano.it David Vig, direttore di Amnesty International Ungheria, la persona riceve una comunicazione scritta e un cartello rosso da attaccare sulla porta per tutta la durata dell’isolamento. Da quel momento, nessuno può entrare o uscire dalla casa, eccezion fatta per le autorità preposte. “Dentro questa casa – c’è scritto sul segnale – c’è una persona sotto osservazione epidemiologica. Nessuno può entrare tranne le autorità. Senza un’autorizzazione delle autorità nessuno può lasciare l’immobile. È vietato rimuovere il cartello senza il permesso delle autorità. Se violi queste regole puoi essere perseguito penalmente“.

“Le persone – aggiunge Vig – lo hanno considerato solo un cartello, non lo hanno visto come un oltraggio, una stigmatizzazione, come sarebbe potuto accadere da altre parti. Su questo, non abbiamo riscontrato particolari lamentele”.

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