Vado sostenendo da tempo che la gestione dell’emergenza Covid-19 si è servita, per buona parte, di quello che ho definito ‘diritto inventato’. Intanto, vi sono delle ragioni strutturali che hanno richiesto questa attività ‘creativa’: la Costituzione repubblicana non prevede una disciplina dell’eccezione.
Sarebbe lungo qui ricostruire che cosa sia questa formula, e cosa preveda. Basti sapere che in essa si enuclea un percorso che potremmo far partire dalla dittatura commissaria (che non ha niente a che vedere con l’accezione moderna del termine ‘dittatura’) come magistratura romana. Ma nell’epoca contemporanea si affaccia con la Francia rivoluzionaria: lo stato d’urgenza lì fu pensato per far fronte alle spinte reazionarie degli Stati stranieri e nemici, ma fu subito ripiegato a coprire il fronte interno, con la legge del 10 fruttidoro anno V (27 agosto 1797) che estendeva la logica emergenziale di guerra a tutti i comuni della Francia con l’obiettivo del mantenimento dell’ordine pubblico contro i troubles civils.
Roma, la Francia, ma anche la Germania del famigerato art. 48 della Costituzione della Repubblica di Weimar, proprio per scongiurare gli effetti nefasti del quale, i costituenti italiani preferirono non inserire nella Carta lo stato di eccezione.
Ma essa si è in qualche modo presa il proprio spazio da sé. Progressivamente, infatti, quella nozione ha esteso la propria portata per via ordinaria o addirittura amministrativa, fino agli anni recenti in cui – l’ordinamento italiano in questo è uno straordinario banco di prova – l’emergenza, dal riguardare le catastrofi naturali (terremoti, inondazioni, incendi, etc.), è stata destinata a coprire tutto ciò che veniva qualificato come Grande evento. Così ‘grandi eventi’ sono diventati la Coppa Louis Vuitton, i Mondiali di nuoto, l’organizzazione del G8 della Maddalena (poi svoltosi all’Aquila), la beatificazione di Madre Teresa di Calcutta.
Questo in Italia. In Francia per esempio, il dibattito sull’état d’urgence per contrastare il terrorismo è stato durissimo. Stato d’urgenza che peraltro è rimasto in vigore due anni. Hollande, il 16 novembre del 2015, subito dopo il Bataclan, aveva affermato davanti all’Assemblée nationale che lo stato d’urgenza andava costituzionalizzato (essendolo solo lo stato d’assedio) assieme alla decadenza della cittadinanza per chi si fosse macchiato di atti di terrorismo. Non se ne fece nulla, ma mi sembra chiaro che la Francia si sia spinta davvero molto in là, chiedendo tra l’altro di poter derogare ai patti internazionali sulla tutela dei diritti umani (CEDU, Covenant del 1966).
Fa dunque un po’ sorridere chi oggi parla di dittatura sanitaria, di colpo di Stato, di eversione dell’ordine democratico. Se portata eversiva c’è, essa non nasce oggi ma con l’estensione del concetto di emergenza e con l’ampliamento dei poteri di protezione civile. Ne avevo peraltro già scritto qui, dunque inutile tornarci sopra.
Quello che ora mi preme sostenere è che, nel vuoto normativo esistente a fronte di un evento come il Covid-19, il governo ha dovuto provvedere con armi spuntate, ben più innocue di tutto ciò che le ha precedute – a cui ho accennato sopra – e su cui il silenzio è stato tombale. Atti amministrativi senza molta forza, traballanti sul piano delle fonti e della loro gerarchia. Non che questo non desti delle preoccupazioni in termini di rispetto delle libertà fondamentali, sia chiaro, o di rispetto del ruolo del Parlamento, tanto più che si dovrà verificare che uso di questo diritto inventato verrà fatto dagli organi preposti, e quanto durerà. Ma mi pare che questo ‘diritto inventato’ non chieda obbedienza in base alla propria forza giuridica, quanto in ragione del proprio fondamento mistico: si tratta di norme al cui fondamento giuridico inoppugnabile il cittadino deve far finta di credere, ottemperando, poiché altrimenti salta tutto. Il diritto inventato spesso non reggerebbe a un ricorso, a un’impugnazione, a una critica.
Si ricorderà che il primo decreto chiedeva di ‘evitare’, non ‘vietava’, e anche la contestatissima uscita sulle cene in famiglia non è un divieto, ma un ‘consiglio’. Il governo spera che i cittadini credano e obbediscano al diritto inventato. E chiaramente ciò ci porta a interrogarci circa l’opportunità che ciò avvenga: solo così è possibile, in assenza di un quadro normativo ad hoc, ottenere certi comportamenti?