Rispetto al valore del 2017 la cifra si riduce di circa 3 miliardi e l'incidenza sul pil si ferma all'11,9%. Ma cresce a 19,2 miliardi il peso delle attività illegali. Circa l’80% del sommerso si genera nel terziario e si concentra per due terzi nei comparti Commercio, trasporti, alloggio e ristorazione, Altri servizi alle imprese e Altri servizi alle persone
Nel 2018 il valore dell’economia non osservata, che comprende sommerso e attività illegali, si è attestata a 211 miliardi di euro, l’11,9% del Pil. Rispetto al valore del 2017, che nel frattempo è stato rivisto al rialzo, la cifra si riduce di circa 3 miliardi, confermando la tendenza alla discesa dell’incidenza sul Pil dopo il picco raggiunto nel 2014 (13%). Se si guarda solo alle attività illegali, che comprendono traffico di droga, servizi prostituzione e contrabbando di tabacco, il loro peso risulta però in crescita: da 18,9 a 19,2 miliardi, l’1,1% del pil.
A calare lievemente è il sommerso – cioè tutto quello che viene occultato al fisco o generato usando lavoro irregolare – che ammonta a poco meno di 192 miliardi di euro contro i 195 dell’anno prima. Il calo si deve alla diminuzione del valore aggiunto sommerso da sotto-dichiarazione (-2,9 miliardi di euro rispetto al 2017) e da utilizzo di input di lavoro irregolare (-1,7 miliardi), mentre risultano in crescita le altre componenti residuali (+1,4 miliardi).
L’80% del sommerso è nel terziario – Circa l’80% del sommerso economico si genera nel terziario e si concentra per circa due terzi in tre settori: Commercio, trasporti, alloggio e ristorazione (40,3%), Altri servizi alle imprese (12,7%) e Altri servizi alle persone (12%). Negli Altri servizi alle persone il sommerso costituisce il 36,1% del valore aggiunto totale. Seguono il comparto Commercio, trasporti, alloggio e ristorazione (22,8%) e le Costruzioni (22,7%). Il ricorso alla sotto-dichiarazione ha un ruolo significativo nei servizi professionali e negli altri servizi alle persone, dove rappresenta il 12,9% del valore aggiunto, e ancora una volta nel commercio, trasporti, alloggio e ristorazione (12,4%) e nelle costruzioni (11,7%).
Il valore aggiunto generato attraverso l’impiego di lavoro irregolare ha un peso particolarmente rilevante, pari al 22,5% del valore aggiunto, negli altri servizi alle persone, che comprendono il lavoro domestico. Il contributo risulta, invece, molto limitato nei tre comparti dell’industria in senso stretto (tra l’1,2% e il 3%) e negli Altri servizi alle imprese (1,6%). Nel settore primario il valore aggiunto sommerso generato dall’impiego di lavoro irregolare rappresenta il 17,1% del totale prodotto dal settore.
Attività illegali in crescita per l’aumento del traffico di droga – Tra il 2015 e il 2018, le attività illegali hanno fatto registrare un incremento di 2 miliardi per il valore aggiunto e 2,3 miliardi per la spesa per consumi finali delle famiglie. La quasi totalità della crescita è determinata dal traffico di stupefacenti: nell’ultimo quadriennio si è registrato un incremento medio annuo del 3,5% per il valore aggiunto e del 3,7% per i consumi, sostenuti soprattutto dalla dinamica dei prezzi. Nel 2018 il valore aggiunto ha toccato i 14,7 miliardi e la spesa per consumi i 16,2 miliardi. Nello stesso periodo la crescita dei servizi di prostituzione è stata modesta. Nel 2018 sia i consumi finali che il valore aggiunto si sono mantenuti sostanzialmente stabili (4,7 e 4 miliardi di euro rispettivamente), con una crescita media annua dello 0,5% dal 2015. L’attività di contrabbando di sigarette nel 2018 rappresenta una quota del 2,5% del valore aggiunto (0,5 miliardi di euro) e del 2,9% dei consumi delle famiglie (0,6 miliardi di euro) del complesso delle attività illegali.
Lavoro nero “strutturale”. Ma negli ultimi anni il peso è calato – Il ricorso al lavoro non regolare da parte di imprese e famiglie “è una caratteristica strutturale del mercato del lavoro italiano“, secondo Istat. Nel 2018 secondo l’istituto sono state 3,6 milioni le unità di lavoro a tempo pieno (ULA) in condizione di non regolarità, occupate in prevalenza come dipendenti (2 milioni e 656mila unità). La riduzione della componente non regolare (-1,3% rispetto al 2017) segnala un ridimensionamento di un fenomeno che nel 2017 si era invece esteso (+0,7% rispetto al 2016). Il tasso di irregolarità, calcolato come incidenza percentuale dei non regolari sul totale, risulta in calo al 15,1%, dopo il 15,5% fatto registrare nell’ultimo biennio. Questo dipende sia dal calo del lavoro non regolare sia dall’aumento di quello regolare, in particolare tra i dipendenti. Il tasso di irregolarità comunque si conferma più elevato tra i dipendenti rispetto agli indipendenti (rispettivamente il 15,5% e il 14,2%). Nel periodo 2015-2018 il lavoro non regolare è diminuito di circa 47 mila unità (-1,3%), mentre i regolari sono cresciuti di 723mila (+3,7%).