Chiusure dei locali anticipate, no alle feste private, cerimonie a numero chiuso, stop agli sport amatoriali. Sono solo alcuni dei provvedimenti scattati dopo l’entrata in vigore del nuovo dpcm firmato da Giuseppe Conte, mentre in Italia sono stati ormai superati i 7mila contagi giornalieri. Cifre che riportano il Paese indietro di mesi, alle settimane del lockdown. Ma in Europa ci sono altri Stati che prima dell’Italia hanno dovuto affrontare la nuova ondata di coronavirus nel Vecchio Continente. Tra limitazioni alla movida e chiusure a macchia di leopardo, ecco come si sono comportati Francia, Regno Unito e Spagna di fronte al nuovo picco di contagi nazionale. Ecco che cosa hanno fatto questi Paesi quando hanno raggiunto la soglia dei 7mila contagi al giorno. E che cosa è successo dopo.
Francia, 7mila casi il 28 agosto: ma le prime restrizioni quasi un mese dopo
In piena estate, il governo di Parigi ha dovuto fare i conti con una nuova crescita dei contagi. Già il 28 agosto, il Paese si trovava nella situazione in cui è oggi l’Italia. Ma mentre a Roma si corre ai ripari prolungando lo stato d’emergenza nel Paese e imponendo nuove restrizioni, in quei giorni di fine estate, a Parigi, teneva banco lo scontro tra gli esperti che chiedevano nuove misure per contrastare l’avanzata del Covid-19 e la volontà del presidente Emmanuel Macron, focalizzato sulla necessità di impedire un nuovo lockdown che avrebbe potuto mettere in ginocchio l’economia nazionale.
Lo scontro si è concretizzato il 9 settembre, appena venti giorni dopo l’intervento con cui il presidente francese rigettava l’ipotesi di un nuovo lockdown. Con il Paese che contava 2mila casi al giorno, Macron tirava dritto sulla riapertura delle scuole. Poi i contagi sono cresciuti, ma la quarantena dimezzata, alcuni istituti sono stati richiusi e proprio in quel giorno di novembre il presidente del Consiglio scientifico che affianca il governo nelle decisioni in tema di pandemia, Jean-François Delfraissy, definì “preoccupante” la situazione francese in tema di Covid, convinto che l’esecutivo “sarà obbligato a prendere alcune decisioni difficili entro 8 o 10 giorni al massimo”. Parole profetiche, visto che appena 48 ore dopo sono scattate misure speciali per Marsiglia e Bordeaux, le aree più colpite, e il 24 settembre l’esecutivo ha fatto scattare nuovi provvedimenti restrittivi: a Marsiglia chiudono ristoranti e bar, a Parigi, Lione, Bordeaux e Nizza, invece, i locali hanno dovuto abbassare la saracinesca entro le 22. Altre restrizioni anche nel nord della Francia, con divieto di feste e assembramenti familiari.
Adesso, con il lockdown generale che non è più un’ipotesi remota e il Paese pronto a un nuovo stato d’emergenza, con il numero dei contagi che da giorni è stabilmente oltre i 20mila al giorno, il presidente ha dovuto arrendersi all’idea di imporre il coprifuoco a Parigi e nelle aree della Francia più colpite dal virus.
Regno Unito, 7mila contagi al 29 settembre. Ma erano sempre attive le restrizioni dell’estate (tra cui la regola dei sei)
Ben diversa, almeno in tema di provvedimenti presi, la situazione della Gran Bretagna. Il governo di Boris Johnson è stato l’ultimo in Europa a cedere alle restrizioni dure nel corso della prima ondata. Così, con i contagi che hanno preso presto a risalire, l’esecutivo di Londra è subito corso ai ripari per evitare un nuovo lockdown generale. Già il 14 settembre, quando nel Paese si contavano in media 3mila contagi al giorno, il premier ha introdotto quella che è stata poi ribattezzata “la regola dei sei”: massimo sei persone per qualunque tipo di incontro, in casa o nei luoghi pubblici. Una stretta alla vita sociale in parte ripresa anche nell’ultimo provvedimento del presidente del Consiglio Conte.
Con i contagi in salita, il 29 settembre, superata la soglia dei 7mila, Downing Street ha quindi deciso di attuare nuove restrizioni nel nord dell’Inghilterra, dove il numero dei casi risulta più alto della media: vietato legalmente qualunque raduno privato e non lavorativo fra persone che non vivono nella stessa casa, con multe rafforzate in caso di violazioni. Infine, il 12 ottobre, con i contagi ormai a quota 14mila, Johnson ha annunciato “tre livelli” di gravità delle restrizioni a seconda delle zone del Regno e dell’incidenza del virus.
Spagna, la prima a entrare nella seconda ondata. 7mila casi il 13 agosto, ma restrizioni soprattutto locali
Chi, in piena estate, è rientrata per prima nell’incubo della seconda ondata è la Spagna. Già il 13 agosto gli istituti iberici registravano contagi oltre la soglia dei 7mila. Così, in un periodo dell’anno in cui le persone tendono a riunirsi durante le ferie, anche all’aperto, il governo di Pedro Sanchez ha tentato di correre ai ripari: il 14 agosto è stata annunciata la chiusura delle discoteche e nuove restrizioni agli orari dei bar, oltre a visite limitate nelle case di cura e il divieto di fumo all’aperto se non si può garantire la distanza di due metri. Un modo, questo, per evitare soprattutto gli assembramenti legati alla movida.
Da quel momento in poi, però, si sono registrate soprattutto restrizioni a livello locale, ordinate dalle singole comunità. Il 24 agosto, con quasi 20mila contagi, il direttore del Centro per il coordinamento sanitario spagnolo, Fernando Simon, chiedeva al governo di Madrid misure “drastiche” per contenere la pandemia. A settembre, sono Madrid, Andalusia e Castilla y León a chiudere parchi e giardini, mettere un limite di persone nei locali e numero massimo di invitati ai matrimoni. È il 21 settembre quando a Madrid scatta un lockdown quasi totale: limiti agli spostamenti sia interni che fuori dalla regione che interessano 850mila persone. Da lì in poi, ancora altri provvedimenti locali, a macchia di leopardo, tra cui lo stato d’emergenza nella regione di Madrid, fino ad arrivare al 14 ottobre, con la Catalogna che ha disposto la chiusura dei locali.