L'episodio è accaduto in Piemonte in un'agenzia assicurativa che aveva annunciato un taglio del personale. La donna è stata condannata per lesioni personali aggravate. A smascherarla è stato l’esame su un campione di cappuccino che la vittima aveva fatto analizzare quando ha iniziato a sospettare che quella fosse la causa dei suoi mali
Aveva paura di perdere il posto di lavoro in un’agenzia assicurativa di Bra, in Piemonte, così per un anno una donna ha versato goccioline di ansiolitici nel cappuccino della collega. L’intento era quello di stordirla, in modo tale da metterla “in cattiva luce” con i suoi superiori, i quali avevano annunciato un imminente taglio del personale. La vittima – si legge nel Corriere Torino – avrebbe iniziato nel tempo ad accusare sonnolenza, riflessi rallentati e altri malesseri eccessivi, tanto che una sera avrebbe avuto un brutto incidente in auto, finendo contro un albero. Il sospetto degli inquirenti ora è che gli ansiolitici (benzodiazepine) possano aver influenzato la sua lucidità alla guida.
Prima di sospettare della collega e del cappuccino, la donna avrebbe passato tanto tempo a casa, passando da uno specialista all’altro per capire la causa del suo malessere, ma nessun medico è riuscito a fare una diagnosi. La donna a quel punto ha iniziato a notare di sentirsi meglio quando si trovava a casa e peggio dopo le mattinate in ufficio, sospettando così del cappuccino bevuto durante la pausa caffè. In accordo con i medici, ha deciso quindi di sospendere il “rito” con disappunto della sua collega, che ha continuato a insistere: “Dai, ti porto il cappuccino, che male ti può fare?”. La vittima – dopo un mese di rifiuti – ha ceduto, ma ha deciso di non berlo tutto e di versarne una parte in una provetta per farlo analizzare.
“A quel punto si sente di nuovo male – dichiara l’avvocato – va al Pronto soccorso e arriva il responso: il cappuccino contiene quantità elevate di farmaci ansiolitici”. Scattano quindi le indagini, i carabinieri seguono la sospettata al bar notando che prima di portare il vassoio in ufficio aggiunge qualcosa in una delle tazzine. E la filmano. A questo si aggiunge la prova principale portata dall’accusa, sostenuta dal pm Donatella Masia, cioè l’esame su un campione di cappuccino che la vittima aveva fatto analizzare quando ha iniziato a sospettare che quella fosse la causa dei suoi mali. La bevanda esaminata conteneva quantità elevatissime di benzodiazepine. La collega è stata quindi condannata dal tribunale di Asti, in primo grado, a quattro anni di carcere per lesioni personali aggravate con rito abbreviato. I suoi legali, Alberto Pantosti e Pietro Merlino, hanno annunciato l’intenzione di ricorrere in appello contro la sentenza.