Il grande risiko del Mose, tra arrivi e partenze. L’opera da sei miliardi di euro che dovrà salvare Venezia dall’acqua alta sta per essere avviata per la seconda volta, non per un test, ma per assolvere alla funzione per cui è stata progettata all’inizio del secolo e per la quale non è ancora ultimata, nonostante i 17 anni trascorsi dalla posa della prima pietra. Giovedì 15 ottobre, alle 10.45, è prevista una marea di 135 centimetri sul medio mare e quindi le paratoie sono pronte per essere alzate, in modo da evitare che una buona parte del centro storico finisca in ammollo. Ma se la prima volta, una decina di giorni fa, c’era un po’ di ansia per verificare come il sistema avrebbe funzionato, ora sono altre le questioni che si addensano sul futuro del Mose. Soprattutto il posizionamento degli attori nello scacchiere di un affare che vale un centinaio di milioni di euro all’anno per funzionamento e manutenzione.
L’ultima notizia, in ordine di tempo, è la lettera di dimissioni che uno dei due amministratori straordinari del Consorzio Venezia Nuova, l’avvocato dello Stato Giuseppe Fiengo ha inviato al prefetto di Roma. Ha deciso di andarsene anzitempo, visto che l’istituzione dell’Agenzia per Venezia, approvata dal Parlamento e pronta a diventare operativa, segna la liquidazione del Consorzio che dal 1982 si dedica alla salvaguardia di Venezia. Il Consorzio è diventato l’epicentro di uno scandalo senza precedenti, che nel 2014 portò a decine di arresti e scoprì un sistema del malaffare diffuso nei gangli dello Stato e della Regione Veneto. Fiengo era stato nominato nel 2015, dopo che l’Autorità Nazionale Anticorruzione aveva deciso il commissariamento, necessaria operazione trasparenza nei confronti delle imprese finite sotto inchiesta per corruzione.
L’avvocato dello Stato ha anticipato quello che dovrebbe accadere tra poche settimane, ovvero l’avvio delle procedure per passare da un consorzio di società private, ma concessionarie dello Stato, a una gestione diretta delle istituzioni pubbliche attraverso l’Agenzia per Venezia. Fiengo ha scritto una lettera in cui chiede al prefetto di Roma di chiarire gli aspetti problematici della legge che scaturisce dal “decreto agosto”. Nell’amministrazione straordinaria rimane così il professor Francesco Ossola, nominato a fine 2014, mentre la gestione ha visto avvicendarsi anche Luigi Magistro (2014-17) e l’avvocato dello Stato Vincenzo Nunziata (solo per quattro mesi da fine 2019 al marzo 2020). Ma Ossola potrebbe continuare a rivestire un ruolo tecnico nella fase non conclusa di completamento del Mose. E questi – Fiengo che se ne va e Ossola che rimane – sono i primi due tasselli del puzzle che si sta componendo.
Gli altri tre soggetti sono tre donne. Il ministro alle Infrastrutture, Paola De Micheli, d’intesa con il premier Giuseppe Conte, ha fortissimamente voluto che il Mose fosse finito, dopo l’acqua altissima da 187 centimetri (la seconda più alta di sempre) del 12 novembre 2019. La seconda donna è Cinzia Zincone, provveditore alle opere pubbliche del Triveneto, nominata quest’anno, che ha condiviso la responsabilità di decidere l’innalzamento delle paratoie. La terza in realtà sembra essere quella destinata a giocare un ruolo di primo piano nel futuro del Mose. Si tratta di Elisabetta Spitz, nominata dal governo a fine 2019, che sta già predisponendo un suo staff. Una settimana fa ha dichiarato in un’intervista a Il Gazzettino che tra i suoi compiti ci sarà anche la competenza sulla procedura di liquidazione del Consorzio, prevista dalla legge istitutiva dell’Agenzia. Passaggio non semplice sia perchè avviene in una fase in cui il Mose non è ancora compiuto, sia perché dovrà superare l’amministrazione straordinaria (ma ora l’uscita di Fiengo semplifica il problema). Si tratta di vedere quale sarà la reazione dei tre grandi soci del Consorzio (Mantovani, Condotte e Fincosit), ormai fuori dall’appalto e in procedure concorsuali, che però potrebbero chiedere (nonostante il coinvolgimento nello scandalo delle tangenti) un risarcimento per essere state estromesse dai lavori. Anzi, un paio di loro hanno già avviato una causa per ottenere 200 milioni di euro dallo Stato.
Sullo sfondo si muovono i soggetti politici. Il governo dovrà nominare il presidente dell’Agenzia per Venezia, oltre al comitato di gestione. E l’attivismo di ministri e sottosegretari Pd e Cinquestelle è stato frenetico negli ultimi mesi. Il centrodestra critica, ma in sede soprattutto locale, la struttura nascente per la salvaguardia di Venezia e della sua laguna che assumerà compiti del Magistrato alle Acque, sciolto dal governo di Matteo Renzi all’indomani degli arresti per tangenti. Contro l’Agenzia, considerata troppo centralista, si è schierato il sindaco di Venezia Luigi Brugnaro, che rivendica un ruolo da prim’attore. Il governatore Luca Zaia, invece, è rimasto in secondo piano, ribadendo però che la gestione del Mose deve essere assegnata alle autorità che governano Venezia e non ai centri di potere romani.