Economia

Reddito di cittadinanza, ecco perché molti poveri restano esclusi (anche secondo l’Inps). E che cosa bisogna cambiare per renderlo più equo

Su circa 9 milioni di persone in povertà relativa, solo il 14% lo riceve. E i poveri assoluti (chi non può comprare nemmeno i beni essenziali) lo scorso anno sono diminuiti solo di 447mila, nonostante circa 2,3 milioni di persone avessero il sussidio. "I tre problemi principali sono la sostanziale esclusione degli stranieri, la penalizzazione delle famiglie numerose e lo svantaggio per il Nord", spiega Cristiano Gori, docente di politica sociale all'Università di Trento. "Questi tre gruppi fruiscono del beneficio meno degli altri e quando lo ricevono prendono cifre più basse"

I requisiti da rispettare per avere diritto al reddito di cittadinanzaescludono la maggioranza dei poveri (variamente definiti)”. E il risultato è che, su circa 9 milioni di persone che si trovano in povertà relativa, solo il 14% lo riceve. Sono alcune delle conclusioni a cui è arrivato un economista della Direzione studi dell’Inps valutando l’impatto della misura ora arrivata al giro di boa dei primi 18 mesi. Con il Covid che moltiplica le situazioni di indigenza, è cruciale non solo rafforzare l’inserimento dei beneficiari nel mondo del lavoro ma anche intervenire sugli aspetti che la rendono poco efficiente nel raggiungere l’obiettivo primario: ridurre la povertà. “Meno male che il reddito c’era, quando è iniziata la pandemia. Ma è stato disegnato male. Ci sono tre problemi principali: la sostanziale esclusione degli stranieri, la penalizzazione delle famiglie numerose e lo svantaggio per il Nord“, riassume Cristiano Gori, docente di politica sociale all’Università di Trento e fresco autore di Combattere la povertà. L’Italia dalla Social card al Covid-19 (Laterza). “Questi tre gruppi sono doppiamente svantaggiati: in percentuale fruiscono del beneficio meno degli altri e quando lo ricevono prendono cifre più basse”.

Slide presentata nel seminario Inps del 19 febbraio 2020

Così lo strumento di welfare nato durante il governo gialloverde raggiunge solo in parte chi ne avrebbe più bisogno. La controprova arriva dal confronto tra i dati Inps sui beneficiari e quelli dell’Istat sulle persone in povertà assoluta, cioè non in grado di comprare un paniere di beni e servizi essenziali per una vita accettabile. Nel 2019, anno di avvio del sussidio, i poveri assoluti sono diminuiti solo di 447mila unità, a poco meno di 4,6 milioni. Nel Nord Est sono addirittura aumentati, da 748 a 768mila. Nonostante ricevessero il Rdc circa 2,3 milioni di persone, salite a 3 milioni quest’anno con la pandemia. E ancora: secondo le simulazioni Inps presentate durante il seminario che si è tenuto il 19 febbraio, più del 50% dei beneficiari del reddito non sono tra i 9 milioni di poveri relativi (persone con una spesa mensile molto inferiore a quella media pro capite). Non a caso l’Alleanza contro la povertà ha appena girato al governo otto proposte per ridisegnare il Reddito “in maniera più equa, inclusiva e attenta alle nuove emergenze sociali”.

Paletti troppo stretti per i cittadini stranieri – L’Istat, nell’ultimo rapporto sulla povertà in Italia, mette nero su bianco che “le famiglie che avrebbero diritto di percepire il Reddito di Cittadinanza e quelle in condizione di povertà assoluta sono due universi solo parzialmente sovrapponibili”. Tra le cause cita il fatto che “il RdC è fortemente selettivo nei confronti dei cittadini stranieri, in quanto prevede un requisito di dieci anni di pregressa residenza in Italia, di cui gli ultimi due continuativi”. Così, a fronte di 1 milione e 400mila stranieri in povertà assoluta (tra loro l’incidenza è quattro volte più alta che tra i cittadini italiani), solo 260mila cittadini extracomunitari prendono il sussidio. L’Alleanza contro la povertà propone quindi di ridurre a 2 anni il tempo di residenza e abrogare la norma che richiede una certificazione aggiuntiva.

Penalizzazione delle famiglie numerose – Per avere diritto al beneficio occorre un reddito inferiore a una soglia di 6mila euro annui (9.360 se si è in affitto) per i single. Per le famiglie la cifra viene moltiplicata per una scala di equivalenza che dovrebbe consentire di tener conto del numero di componenti. L’assegno a cui si ha diritto è calcolato come differenza tra la soglia così ottenuta e i redditi da lavoro. Ma la scala utilizzata attribuisce scarso “peso” ai figli minorenni e limita a soli 1.050 euro al mese – al netto del contributo per l’affitto e delle maggiorazioni per i componenti disabili – la cifra massima per una coppia con molti bambini. Questo penalizza le famiglie numerose, proprio quelle a maggior rischio povertà. Le slide sulla valutazione del Reddito presentate durante il seminario Inps spiegano la scelta con la necessità di “contenere i costi dell’intervento“, posto che l’importo del beneficio per un single senza altre entrate doveva corrispondere alla cifra bandiera di 780 euro promessa prima dell’entrata in vigore. L’Alleanza contro la povertà propone di sostituire la scala di equivalenza ed eliminare o innalzare molto il tetto per le famiglie numerose, in modo da includerne 365mila in più. Costerebbe circa 4 miliardi.

Iniquità geografica: scoperti molti poveri del Nord – L’ultimo elemento di iniquità è quello “geografico”. Al Nord la vita – dagli affitti alla spesa – costa di più e le soglie di povertà assoluta utilizzate dall’Istat ne tengono conto: sono differenziate, oltre che per composizione familiare, anche per localizzazione e ampiezza del Comune di residenza. Per esempio una coppia con figli sotto i 10 anni che viva nella periferia di un’area metropolitana del Nord è povera in senso assoluto se può contare su meno di 1.610 euro al mese, mentre secondo l’istituto di statistica la soglia di povertà per una famiglia con la stessa composizione che abiti in un piccolo come del Sud scende a 1.222 euro. Con un’entrata di 1.400 euro al mese, quindi, la famiglia del Nord è da considerare povera, quella del Sud no. Ma il reddito di cittadinanza non guarda alla capacità di spesa e non prevede distinzioni: è uguale in tutta Italia. Contano solo i requisiti di reddito e di patrimonio immobiliare (dev’essere sotto i 30mila euro, esclusa la prima casa) e mobiliare (la soglia è di 6mila euro per un single, fino a 10mila per le famiglie). Questo secondo le slide dell’Inps “allontana lo strumento da un coerente intervento di contrasto della povertà“. E finisce per favorire i residenti nel Mezzogiorno: tra loro i beneficiari del reddito sono 1,9 milioni, a fronte di 1,4 milioni di poveri assoluti contati da Istat. Al Nord il rapporto si inverte: il reddito lo prendono in 586mila ma i poveri nel 2019 erano 1,7 milioni.

L’ampliamento necessario con l’emergenza Covid – Questo al netto dell’impatto del Covid, che ha moltiplicato le situazioni di disagio. “Ci sono per esempio i 600mila beneficiari del Reddito di emergenza (l’aiuto di ultima istanza introdotto per i mesi di maggio, giugno e luglio per chi non aveva diritto ad altri ammortizzatori, ndr) che ora sono rimasti scoperti”, ricorda Gori. Per loro e per gli altri che si sono ritrovati in difficoltà a causa dell’impatto del lockdown “sarebbe opportuno pensare a un allentamento dei criteri patrimoniali per l’accesso al Rdc, in modo che possano ottenerlo senza prima dover dare fondo ai pochi risparmi”. I decreti collegati alla prossima manovra poterebbero essere l’occasione per fare un “tagliando” che tenga conto anche di questi nuovi bisogni.