“Ce mancava solo er Viperetta, mo’ semo tutti”. Un uomo sui 60 anni apre e chiude in pochi secondi il giornale lasciato sul tavolino di un bar del quartiere Alberone. Ha appena letto che Massimo Ferrero, “vulcanico” presidente della Sampdoria, vuole candidarsi a sindaco di Roma. Un altro, caffè e cornetto alla mano, legge la stessa notizia, poi abbandona le cronache politiche in cerca delle pagine sportive. “Vinco a mani basse”, avrebbe esclamato il re dei multisala capitolini. È solo un piccolo indizio su come la pazienza dei romani sia già arrivata al limite. La sensazione, infatti, è che la melina di centrodestra e centrosinistra stia trasformando il pre-gara verso le comunali romane del 2021 in una specie di farsa. Perché le auto-candidature a sindaco che stanno riempiendo il vuoto dei “no, grazie” rifilati alle coalizioni, in alcuni casi non convincono, in altri fanno addirittura sorridere, fra personalità dello spettacolo e volti noti del piccolo schermo che si propongono – o vengono tirati in ballo – come “la persona giusta”. Senza alcuna esperienza nella pubblica amministrazione, ovviamente, lo stesso “difetto” contestato per 5 anni all’attuale sindaca, Virginia Raggi.
Il primo in assoluto a inaugurare il “circo” delle candidature è stato Massimo Ghini, il 20 maggio scorso. “Sono pronto a candidarmi a sindaco se la sinistra non tira fuori un candidato vero”, disse il protagonista di Vacanze ai Caraibi, prima di ammettere: “La mia è una provocazione” e iniziare a dissertare di campi rom e rifiuti. Di pochi giorni fa, invece, la notizia del “sondaggio” di Giorgia Meloni e Matteo Salvini verso Massimo Giletti, conduttore di Non è L’Arena, torinese (e juventino) ma da alcuni ritenuto adatto a correre per il Campidoglio (anche) grazie agli approfondimenti della sua trasmissione sulle cose romane: Atac, Ama, Mondo di Mezzo, ecc…
Al centrodestra in fondo l’opzione “giornalista televisivo” sembra piacere: nelle scorse settimane erano stati testati anche Gennaro Sangiuliano, napoletano, direttore del Tg2 ed ex vicedirettore di Libero (opzione non tramontata, in realtà), e Nicola Porro, volto noto di Mediaset ma almeno lui nato e cresciuto a Roma. “E allora perché non io!”, la frase che ha accompagnato la discesa in campo, fra il serio e il faceto, di Vittorio Sgarbi, che ha già detto che metterà la sua famigerata capra sul simbolo del movimento “Rinascimento”, con cui ha vinto le elezioni a Sutri, in provincia di Viterbo, di cui il parlamentare è attualmente primo cittadino.
Dal Grande Fratelli Vip al “Festival degli sconosciuti” in realtà il passo è breve. Perché accanto ai “volti noti” ci sono diversi personaggi della politica ultralocale che ritengono di potersi misurare con il Campidoglio. In primis quelli ormai noti come i “sette nani” che puntano alle primarie del Partito democratico: i presidenti di municipio Giovanni Caudo – ex assessore ai tempi di Ignazio Marino – Sabrina Alfonsi e Amedeo Ciaccheri, il consigliere regionale Paolo Ciani (vicino a Sant’Egidio), il consigliere municipale Tobia Zevi (esponente della Comunità ebraica) e i parlamentari Monica Cirinnà e Roberto Morassut. A questi si aggiungono la presidente del VII Municipio, Monica Lozzi – fuoriuscita dal M5s e ora sostenuta da Gianluigi Paragone – lo scrittore Gianrico Carofiglio, proposto a gran voce dai “pugliesi del Pd” – una nuova corrente dei dem capitolini – il 20enne Federico Lobuono con la sua lista “La Giovane Roma” e anche l’ex consigliere regionale ai tempi di Renata Polverini, Andrea Bernaudo, con la sua “Liberiamo Roma”.
Al momento il nome del (possibile) candidato a sindaco di Roma più accreditato finisce per essere quello di Carlo Calenda, ministro dello Sviluppo economico dei governi Renzi e Gentiloni. “Ci sta ancora pensando, ma se lo farà lo sosterrò da cittadina”, ha detto a Otto e Mezzo sua madre, la regista e scrittrice Cristina Comencini. Calenda (che non ha mai nascosto le sue velleità da primo cittadino e che da ministro aveva anche avviato un tavolo di lavoro con Virginia Raggi, fatto saltare dopo poche settimane) è stato fra i primi a essere tirato in ballo, addirittura dalla sinistra radicale – nonostante le sue idee notoriamente liberiste – salvo poi essere archiviato come “troppo divisivo”. L’ex titolare degli uffici di via Molise ha un “problema” che imbarazza il Pd: in pochi mesi si è tesserato, si è fatto eleggere eurodeputato e poi ha abbandonato i dem all’atto dell’alleanza di governo con il M5s, per poi fondare il suo partito, “Azione!”. A Roma, però, gli serviranno i voti pentastellati per governare. Almeno al ballottaggio, qualora riesca a vincere il “derby” con Virginia Raggi.