Sulla chat del social Kik si scambiavano foto e video di abusi e sfruttamento sessuale su minori. Una rete di pedofili italiani è stata scoperta grazie a un’operazione condotta dalla Polizia postale in 16 province, coordinata dal Centro Nazionale di Contrasto alla Pedopornografia Online e disposta dalla procura di Venezia. Sono state eseguite perquisizioni che hanno portato ad arresti e alla denuncia di 16 persone, di cui alcuni con precedenti specifici, responsabili di divulgazione, cessione e detenzione di una grande quantità di materiale pedopornografico.
Il più anziano del gruppo ha oltre 60 anni, il più giovane 23. Si tratta di impiegati, camerieri, operai. Sono stati arrestati un sessantenne di Mantova, un trentenne di Brescia, un quarantenne di Modena e un cinquantenne trentino. L’attività di indagine, che ha visto impegnate le unità specializzate della polizia postale di Venezia, si è sviluppata con l’analisi dei dati informatici e delle chat di messaggistica del social Kik. Diversamente dal più noto WhatsApp, dove l’utente è immediatamente identificabile attraverso il numero di cellulare, Kik permette l’accessibilità dal proprio smartphone con un semplice account, che può essere anche anonimo. La polizia postale ha isolato la posizione dei singoli nickname, recuperando per ognuno di loro il materiale condiviso ed estrapolando le connessioni Ip.
A quel punto, una lunga e capillare attività di indagine ha consentito di associare un nome ai nickname utilizzati in rete dai pedofili, portandoli allo scoperto e fuori dall’anonimato della rete. Sono stati sequestrati migliaia di files e decine di telefonini e computer, dalla cui perquisizione informatica sono emersi importanti riscontri e da cui è stato “appurato il coinvolgimento dei soggetti individuati nel corso delle indagini”. Sequestrati anche dispositivi informatici utilizzati dai soggetti per l’archiviazione e la veicolazione delle immagine e video pedopornografici, insieme a numerosi spazi cloud. In sede di perquisizione, sono stati riscontrati anche altri canali Telegram, già noti alle autorità, per lo scambio di materiale pedopornografico e connessi anche a casi di revenge porn per cui sono in corso ulteriori indagini.