Il questore di Palermo Renato Cortese e il capo della Polizia Ferroviaria Maurizio Improta sono stati destinati ad altro incarico. La decisione è stata presa dal capo della Polizia Franco Gabrielli come conseguenza della sentenza di primo grado del tribunale di Perugia che ha condannato i due e altri agenti per il sequestro e l’estradizione di Alma Shalabayeva.
Il Dipartimento di Pubblica Sicurezza ha attivato la procedura amministrativa dell’istituto giuridico della disponibilità. “Pur ribadendo la profonda amarezza ed il pieno convincimento dell’estraneità dei poliziotti ai fatti”, dice Gabrielli, con la decisione presa si riafferma il principio che “la Polizia, il cui motto non a caso è ‘sub lege libertas’, osserva e si attiene a quanto pronunciato dalle sentenze, quand’anche non definitive”.
Giovedì, dopo otto ore di camera di consiglio, i giudici hanno condannato tutti gli imputati. Cortese (allora capo della squadra mobile di Roma) e Improta (all’epoca responsabile dell’ufficio immigrazione a Roma) sono stati condannati a 5 anni di reclusione e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici. La vicenda risale al 2013, quando Alma Shalabayeva, la moglie del dissidente kazako Mukhtar Ablyazov, fu espulsa dall’Italia insieme alla figlia per poi rientrare alla fine dello stesso anno dopo mesi di feroci polemiche.
Condanna a cinque anni anche per i funzionari della mobile Francesco Stampacchia e Luca Armeni, mentre gli agenti in servizio all’Ufficio immigrazione Stefano Leoni e Vincenzo Tramma sono stati condannati rispettivamente a tre anni e sei mesi di reclusione e quattro anni. Il giudice di pace Stefania Lavore, invece, è stata condannata alla pena di due anni e sei mesi. Per tutti gli imputati, ad eccezione di Lavore, è stato riconosciuto il sequestro di persona.
Dopo la sentenza, Gabrielli ha commentato: “Abbiamo un’altra valutazione”. Parlando alla festa del Cinema di Roma, il capo della Polizia ha spiegato: “Siamo in uno stato di diritto, ci sarà un appello e ci auguriamo che la verità processuale corrisponda alla nostra verità. Paura che paghino i poliziotti? Sì, non lo nego”. Gabrielli ha poi ribadito la necessità di rispettare la sentenza, anche se “questo mi costa umanamente moltissimo perché conosco i colleghi”.