“Mi pare una tragico déjà vu“. Usa queste parole il primario infettivologo dell’ospedale Sacco, Massimo Galli, per descrivere l’aumento dei contagi e dei ricoveri nella sua Milano. Giovedì nel capoluogo lombardo si sono registrati altri 515 nuovi positivi, ma è soprattutto la pressione sugli ospedali che comincia a preoccupare. È vero, l’Italia sta ancora meglio rispetto ad altri Paesi europei, ma è “inutile ragionare con i dati di ieri”, avverte sempre Galli. “Dobbiamo guardare le proiezioni, che purtroppo hanno poche probabilità di fallire. Tra 15 giorni saremo come la Francia, la Spagna, il Regno Unito”, spiega l’esperto. Siamo ancora in tempo per invertire la marcia, sostiene però Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di sanità e componente del Comitato tecnico scientifico (Cts): “Non ritengo vi siano elementi che possano indirizzarci a prevedere un prossimo, nuovo lockdown, tantomeno un lockdown da realizzarsi in un tempo così definito, ma ancora relativamente lontano, quale le festività natalizie”.
Da giovedì l’ospedale Sacco accetta solo malati con Covid-19 e dirotta su altri ospedali milanesi i pazienti con altre patologie. La decisione è stata presa sulla base delle linee guida regionali, ma è la spia di una situazione che a Milano e in Lombardia sta diventando critica. “Guardi, siamo nelle peste. Sto cercando di occuparmi di tutti i pazienti che ho qui. Mi pare una tragico déjà vu. Lo temevo già da agosto, speravo di sbagliarmi e invece…”, dice chiaramente Galli intervistato da La Repubblica. “La situazione a Milano si sta facendo molto allarmante, al limite della saturazione – riferisce Galli – E ci sono forti criticità anche altrove. Abbiamo assoluto bisogno di far funzionare le indicazioni del decreto del governo. Diversamente, la strada già tracciata è quella degli altri Paesi europei”. Perché gli ospedali sono già così in sofferenza? Galli ricostruisce così la catena di eventi: “Questa estate in vacanza, positivi giovani. A settembre ritorno a casa, positivi giovani. Poi il contagio in famiglia, l’età cresce. Adesso tornano ad essere colpiti gli anziani. E dunque cresce la paura, la sintomatologia, il ricorso alle cure ospedaliere, le terapie intensive. Le vittime, ormai lo sappiamo, le vedremo più in là“. “Non so se ci sarà un lockdown di Natale e non me lo auguro, dobbiamo lavorare strenuamente per evitarlo”, dice ancora Galli.
Lo stesso concetto ribadito dal numero uno del Css Locatelli, secondo cui è ancora troppo presto per fare previsioni. Però, spiega in un’intervista al Corriere della Sera, “è fondamentale che tutti, nessuno escluso, facciano quanto è nelle proprie possibilità per limitare la diffusione del virus. Non ci possiamo proprio più permettere deviazioni dalle buone regole”. “La ripresa della curva epidemica coinvolge tutte le regioni, con maggior concentrazione in alcune. Guardiamo ad esempio Lombardia, Campania e Piemonte. Sono numerosi i focolai sparsi nel Paese – dice Locatelli – è prioritario identificarli e interrompere le catene di trasmissione. È chiaro che quanto più elevato è il numero di focolai e la dimensione numerica dei nuovi casi, tanto più impegnativo o addirittura impossibile diventa il compito dei dipartimenti di prevenzione“.
Fabrizio Pregliasco, virologo dell’università degli Studi di Milano, chiede “un patto sociale” per evitare lo scenario di un secondo lockdown: “Un grande sforzo collettivo per ridurre i contatti al minimo indispensabile. Scuola, lavoro: il resto ora va stornato”. L’esperto, intervistato dal Corriere della Sera, invita a “intervenire partendo dai contatti non essenziali. Certo, la didattica a distanza potrebbe aiutare soprattutto nel caso dei ragazzi più grandi”. Inoltre, per invertire la rotta “è fondamentale trovare spazi per isolare chi necessita di cure semplici, ma anche per garantire quarantene sicure. Siamo in un limbo critico, ma gestibile. Con buone dosi di responsabilità”.