Cultura

Lo Scaffale dei Libri, la nostra rubrica settimanale: diamo i voti, da Ohio di Markley a Tornare a casa di Hansen

di Davide Turrini e Ilaria Mauri

TORNARE A CASA - 2/4

A leggere il primo capitolo di Tornare a casa (Fazi Editore) della scrittrice tedesca Dorte Hansen si rimane come storditi. Una girandola irrefrenabile di invenzioni formali, scintille lessicali, fuochi d’artificio temporali. Una scrittura mulinante che stampa con forza il dettaglio generale del contesto ambientale e allo stesso tempo affonda immergendosi e riemergendo di continuo nella presentazione di personaggi, caratteri e storie del paesino immaginario di Brinkebull, nella Frisia settentrionale. Nove pagine che andrebbero adottate come esempio di quello che va fatto quando si vuole mostrare di saper fare letteratura. Poi certo, per chi ha qualche anno sulla carta d’identità la descrizione della locanda sperduta tra i campi, della coppia di anziani nonni del protagonista (Ella e Sonke), la svitata del paese (la figlia nonché mamma Marret), la nuovissima falciatrice Dominator 76, gli animali e la natura che pulsano all’unisono con l’uomo, sembra la traccia romanzata di un Heimat reitziano di rinnovata fattura. Il tempo scorre a Brinkebull e tutto ciò che viene osservato nell’oggi dagli occhi di Ingwer, nipote dell’ingobbito oste Sonke, tornato da laureato di città nell’estrema provincia rurale per accudire proprio i vecchi rimbambiti nonni, diventa un passato brulicante di polvere, pietre secolari e tradizione di paese, oltreché luogo di un paternità per Ingwer mai vista e conosciuta. Ciò che sembra interessare ad Hansen è l’infittirsi incalzante e rigoglioso della scrittura, come la sfuggente, ironica, leggiadra dimensione di nostalgia della terra natia. Approccio umano, morale, culturale, ovviamente letterario che, per una volta, in mezzo a strambi guaritori e macchine edili ingombranti e moderne, brani di Neil Young che sembrano così fuori luogo e fuori tempo tanto da diventare florilegi musicali astratti e universali, che osserva le radici familiari senza quell’inutile astio della contemporaneità per l’antico. Anzi con un affetto, una vicinanza, un sentire profondo per la vita che è stata e va sfumando, come quella da riscoprire e reinventare del protagonista in fuga. “Di bellezza neanche l’ombra. Solo terra nuda, una terra che sembrava devastata e sfinita. Ti veniva voglia di consolarla con una bugia compassionevole, di posare una mano su quel suolo e dire: andrà tutto bene”. Applausi alla traduttrice Tersa Ciuffoletti. Voto (teutonicamente alto): 7,5

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