“Il dolore sta producendo risultati!”. È quanto dichiarava al Wall Street Journal il 29 aprile 2013 Pier Carlo Padoan, già vice-segretario generale dell’Ocse, l’organizzazione per il commercio estero, una delle varie agenzie preposte a diffondere il pensiero della globalizzazione finanziaria noto come Washington Consensus: l’ideologia dell’accumulazione per esproprio.

Uno dei tanti chierici officianti una sorta di luteranesimo sui generis, per cui la parola “debito” è sinonimo di “peccato”; pervicaci nel gabellare ogni atroce crudeltà per evidenza economica. Come l’applicazione terroristica delle politiche di austerity, a cui il futuro ministro dell’Economia nel governo presieduto da Matteo Renzi si riferiva nella “caritatevole” dichiarazione al quotidiano economico di New York.

Tanto per illustrare quanto fossero realmente produttive di risultati, nel febbraio 2014 The Lancet, la principale rivista medica mondiale, pubblicava un rapporto sulla situazione della Grecia, commissariata dalla Troika di Bruxelles trasformandola in un laboratorio del presunto risanamento: una catastrofe umanitaria, con l’aumento di morti bianche dei neonati cresciute del 43%, un incremento della mortalità degli anziani del 12% e un’estrema diffusione del contagio da Hiv/Aids per l’impossibilità di distribuire siringhe sterili. E non riesco a immaginare cosa sarebbe successo in Italia se l’emergenza Covid-19 fosse stata affidata alle cure economiche di “terapeuti” alla Padoan.

Questo per dire con che personaggio si ha a che fare, specie ora che ascende alla carica di presidente di una banca importante quale Unicredit.

Già in passato mi ero interessato alle malefatte di questi Torquemada del credo neoliberista; questi economisti mainstream, genuflessi davanti al mito privatistico della santità accaparrativa e speculativa. Che – nel caso del neo presidente Unicredit – abbiamo visto alla prova nella gestione dei problemi economici italiani e da cui ne abbiamo tratto un’impressione sconfortante.

Al giudizio già lapidario di allora, ora mi vien fatto di aggiungere un’ulteriore considerazione, alla luce della cronaca odierna: l’attuale élite del potere non è (soltanto) cementata – come dice il mio amico Manuel Castells – “dal fatto che i codici culturali impregnano le strutture sociali in un grado tale che il possesso di tali codici apre l’accesso alla configurazione del potere”, bensì si fonda su materialissimi rapporti di affari.

Del resto lo aveva intuito già un grande storico del Novecento – Fernand Braudel – teorizzando che sopra la sfera “rumorosa” del mercato c’è una stanza segreta dove il possessore del denaro incontra il controllore delle decisioni politiche. Ed è lì che si origina il big business. Adesso, davanti alla sfacciata evidenza dello scambio di reciproche benevolenze tra finanzieri e un ex ministro della Repubblica, si ritorna a parlare della necessità di affrontare in chiave regolativa la questione del conflitto di interessi. Una favoletta che sento dal tempo in cui frequentavo l’età giovanile. Una barzelletta.

Sia chiaro: ben venga una normativa, anche se consentirà infinite scappatoie. Il problema resta – invece – un altro. Ed è quello dei rapporti di forza. Che attualmente premia i mandanti e i loro mandatari, alla Pier Carlo Padoan. Da gratificare a fine carriera con una ben remunerata poltrona. In questo andirivieni tra stanze dei privilegi, per cui Mario Monti e Mario Draghi passano dagli organigrammi di vertice in Goldman Sachs ai palazzi delle istituzioni pubbliche. E altri viceversa. Sempre mantenendo quell’etichetta apparentemente neutrale di “economisti”.

I reggicoda dello status quo che vennero smascherati perfino dalla regina Elisabetta nel novembre 2008, invitata all’inaugurazione di un nuovo edificio della rinomata London School of Economics. Si era nei giorni in cui crollava rumorosamente il muro di Wall Street, nel primo dei collassi della finanza mondiale. Rivolta alla crema del pensiero economico imperiale convenuto per l’occasione, la sovrana formulò una domanda semplice, semplice: “Perché nessuno l’aveva previsto?”. E un imbarazzato silenzio da parte dei guardiani dell’ordine vigente fu l’unica risposta che ricevette. Aux armes, citoyens.

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