“Il mio preferito? Non posso dirtelo, ne ho troppi, e poi se non dico Di Carlo s’incazza Di Carlo”. Le erre rigorosamente arrotate e la cadenza inconfondibile: Pieraldo Dalle Carbonare, l’ex presidente del Vicenza apre volentieri il libro dei ricordi biancorossi, a patto che non gli si chieda del suo preferito a scanso di incidenti diplomatici. Con Mimmo Di Carlo, inevitabilmente.

Ricordi che il presidente tira fuori dopo un appunto: “Nell’articolo su Bjorklund era tutto perfetto tranne un’inesattezza: non me l’hanno pagato 5 miliardi, ma molto meno. E Moggi ci ha provato pure con Sartor a fare una furbata, ma mi ha sempre fatto fare begli affari. E in ogni caso sia con Bjorklund che con Sartor voleva portare un vantaggio al club, mai per se stesso”. E di vantaggi al suo club ne ha portati pure Dalle Carbonare. Presidente dall’occhio lungo in fatto di calciatori, anche grazie al fido Gasparin. Occhio da plusvalenza lo chiama qualcuno nell’ambiente. E di plusvalenze l’ex patron ne ha portate un bel po’ ai biancorossi.

“Nel 2000, quando io ormai non ero più presidente, la nuova proprietà inglese iscrisse a bilancio una somma per plusvalenze di circa 50 miliardi: tutta roba mia, tutti giocatori che io avevo preso a poco e loro avevano venduto a tant” racconta al fattoquotidiano.it. In sella dal 1989, con la scalata dalla C1 alla Serie A fino alla vittoria della Coppa Italia: “E i calciatori, che da noi prendevano poco, in quell’occasione tra premio salvezza e premio per la vittoria della Coppa riuscirono a guadagnare anche quattro volte quello che prevedeva il loro contratto. Ma era possibile perché quello era un gruppo di ragazzi straordinari”. Un’annata straordinaria per i biancorossi ma amara per Dalle Carbonare: nel 1997 fu arrestato, accusato di bancarotta fraudolenta per il fallimento della Trevitex, azienda tessile che negli anni 90 era arrivata ad essere la seconda in Italia nel settore e mentre i biancorossi alzavano la Coppa lui era a San Vittore.

Tornando alle vicende sportive: quel gruppo era nato con Ulivieri (“grande allenatore e persona per bene”) e poi con Guidolin, mister “bloccato” in aeroporto (e le trattative aeroportuali non si fermano solo al mister, come vedremo): “Guidolin mi piaceva molto – racconta Dalle Carbonare – perché aveva sempre squadre più scarse del Vicenza eppure ci “infiocchettava” regolarmente, facendo delle grandi partite. Così dissi a Gasparin che nel giorno in cui fosse andato via Ulivieri avrei preso proprio Guidolin. Però andò all’Atalanta e non ci pensai più. Lo beccai il 30 ottobre (è incredibile l’ex patron nello snocciolare al minimo dettaglio fatti di 20 anni fa ndr) in aeroporto a Roma: noi tornavamo da Andria, avevamo perso 1 a 0 con gol di Quaranta da quaranta metri, lui allenava l’Atalanta e tornava da Lecce, dove aveva perso 5 a 1. Mi fece capire che l’avventura in nerazzurro sarebbe durata poco e io gli chiesi di sentirci prima di accettare offerte. A fine anno Ulivieri, da gran signore, decise di andar via perché sentiva di aver dato tutto e così iniziò la bellissima avventura con Guidolin. Pensi che ancora ci sentiamo: una persona speciale”.

E Guidolin porta i veneti in A, creando un gruppo straordinario: “Ragazzi stupendi: da Di Carlo, ad Ambrosetti a Viviani a Murgita, a Lopez. Uomini veri, prima che bravi calciatori”. E poi i colpi con gli stranieri: “Otero era un bravo ragazzo, sudamericano. Molto sudamericano. Qui diventò subito ‘Otero facci un pero’ perché legò tantissimo con la curva: non di rado faceva baldoria assieme ai tifosi. Mendez? Lo pagai pochissimo: Gasparin era con Paco Casal per prendere Otero, io lo chiamai e mi disse che oltre a Otero ne aveva preso anche un altro. Io gli risposi che aveva fatto bene, così tra uruguagi si fanno compagnia. Quell’anno con gli stranieri facemmo ottimi affari”.

Ma sul miglior affare Dalle Carbonare ha pochissimi dubbi: “Pistone. Lo prendemmo giovanissimo e fu girato in prestito al Crevalcore, rientrato fece delle grandissime partite e lo puntò l’Inter. Una sera incontrai Mazzola a Galagol e mi disse che lo voleva subito: sfruttai l’occasione. Feci bene”. Scovare talenti giovanissimi o nelle serie minori era una specialità di Dalle Carbonare, che di aneddoti ne ha parecchi: “Maurizio Rossi era in C2, anzi in una squadra retrocessa in D quando lo presi. All’atto della firma del contratto si diede un pizzicotto, perché non ci credeva”. E se a qualcuno il patron regalava un sogno, sapeva essere persuasivo anche con chi non sognava affatto la maglia biancorossa: “Mandai a prendere Ambrosetti che tornava dall’Inghilterra col Brescia, per la Mitropa. Lui non voleva venire mica sa? Lo feci convincere e arrivò a Vicenza, mi ribadì che non aveva alcuna intenzione di venire, ma l’ho spuntata io. Come? Dicendo di fidarsi di me, spiegandogli che gruppo c’era in quel Vicenza e fece bene”.

Oltre alle erre arrotate si sente il profumo di un altro calcio, più romantico, forse meno professionale rispetto a oggi ma più rustico, specie in quella provincia che quel Vicenza rappresentò appieno: “I casini c’erano anche allora eh, però erano periodi in cui valeva la parola, la stretta di mano, oggi con la pletora di procuratori, agenti, faccendieri è diventato impossibile. Oggi un Anconetani, per intenderci, non può esistere più: e parliamo di uno che ha tenuto il Pisa in A, portando gente come Dunga, Simeone, Chamot. Continuo a seguire, ma solo come tifoso. Da presidente ho vissuto gli ultimi anni belli, secondo me, del nostro calcio. Mi sta bene così”.

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