Sono passati dieci anni da quando, nel 2010, scrissi della decisione del Consiglio comunale di Imola di aggiornare il regolamento del Consiglio con il linguaggio sessuato, includendo il femminile.
Ricordavo la studiosa femminista Alma Sabatini, del cui lavoro si sa ancora poco, che negli anni ’80 indicò nel suo libro Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana una semplice ed efficace strada da percorrere, nella scuola e nelle agenzie formative, per debellare gli stereotipi sessisti a partire dal linguaggio, proponendo una ovvietà: cominciamo a parlare nominando il femminile nel discorso di ogni giorno; basta con il “neutro” (che non esiste in italiano); obiettiamo a chi dice uomo, e poi aggiunge “inteso come genere umano” che in realtà sta scegliendo di usare il maschile inglobando e annullando il femminile.
Chi si occupa di diritti delle donne e di equità sa bene quanto sia difficile che questa inoffensiva proposta sia accolta e praticata senza resistenze e levate di scudi. Per la verità a Imola la proposta fu accettata in modo non totalmente indolore, ma passò, e fece scuola nella pubblica amministrazione italiana. Dieci anni dopo sono a raccontare una vicenda analoga, questa volta a Caltanissetta.
Nel 2018 la Consulta Comunale femminile della città siciliana, su proposta del gruppo Onde donne in movimento, riesce a fare inserire il linguaggio di genere nella bozza del regolamento sulla partecipazione civica che la giunta stava elaborando e, per agevolare il passaggio, propone un corso di formazione on-line sul linguaggio nella pubblica amministrazione rivolto al personale del comune, facendo il nome di Cecilia Robustelli, nota accademica della Crusca e linguista.
Nulla di fatto fino al luglio scorso, quando il regolamento è stato portato in Consiglio comunale, e qui la brutta sorpresa: le consigliere e i consiglieri della maggioranza (M5S) hanno presentato 79 emendamenti, di cui 48 volti esclusivamente ad eliminare dalla stesura del regolamento l’uso del linguaggio sessuato.
Traduzione: no a dire “consigliere” e consiglieri, vogliamo continuare a usare il maschile anche quando ci si riferisce ad una donna. Da notare che a Caltanissetta il Consiglio Comunale ha una composizione paritaria: 10 consigliere e 10 consiglieri, la maggioranza vede addirittura una prevalenza delle consigliere, 8, a fronte di 6 consiglieri.
In questo caso pare evidente che ci sono anche molte donne che si oppongono ad essere nominate con il femminile. Quando le donne sostengono il neutro nel linguaggio le obiezioni variano, sulla stessa linea e con diverse sfumature, dal blando “ci sono cose più importanti e urgenti del linguaggio” al più corposo “che cosa cambia se dico donne, bambine, lavoratrici, tanto si capisce che sono incluse anche se uso il maschile.”
“L’accanimento con il quale è stata perseguita l’eliminazione del linguaggio di genere dalla stesura del documento purtroppo conferma quanta subalternità hanno prodotto secoli di patriarcato – ammettono le attiviste di Onde donne in movimento: il potere maschile si esprime anche attraverso il linguaggio”.
E citano la Robustelli, che sostiene come “il linguaggio non è mai uno strumento neutro, perché dà forma e voce al modo in cui gli esseri umani pensano, interpretano la realtà e agiscono nel mondo. Inoltre il concetto di “parità” tra uomo e donna è stato a lungo interpretato come adeguamento al modello maschile: essere definita con un titolo maschile significava il riconoscimento della parità con l’uomo, mentre quello femminile suonava inferiore.”
Ma la mancanza di consapevolezza non giustifica l’assenza di competenza, commentano le attiviste di Onde donne in movimento. Sono infatti ormai numerosi gli studi che hanno prodotto raccomandazioni, linee guida, direttive e decreti: per esempio nel 2008 il Parlamento europeo ha adottato linee guida multilingue contro la neutralità di genere nel linguaggio. Ma Caltanissetta, per chi governa la città, non è in Europa?