Con lei i laburisti, per la prima volta da 50 anni, diventano il primo partito a formare un governo da solo, un’impresa che non era riuscita a realizzare tre anni fa. Ma ora Jacinda Ardern ce l’ha fatta ed è stata riconfermata premier della Nuova Zelanda per il secondo mandato dopo una storica vittoria: il suo Labour ha infatti ottenuto oltre il 49% dei voti contro il 27% del National Party guidato dalla thatcheriana Judith Collins. Un trionfo che la premier ‘gentile’ ha realizzato sconfiggendo il coronavirus e guidando il Paese per i tre anni più duri della sua storia. Un periodo pieno di sfide iniziato con un sanguinoso attentato e finito con una pandemia globale. Nel mezzo anche la nascita di Neve, la bambina avuta con il compagno conduttore televisivo Clarke Gayford.

Quello che nel suo primo mandato la premier è riuscita ad attuare è stata una politica improntata “all’empatia e alla gentilezza“, come aveva dichiarato dopo essere stata eletta la prima volta. Uno stile disinvolto che l’ha portata a presentarsi all’Assemblea generale dell’Onu con la sua bimba di pochi mesi in braccio, prima volta nella storia delle Nazioni Unite. O a presentarsi al seggio sotto casa con un vassoio pieno di ‘scones’ (le brioche di tradizione britannica) da offrire ai volontari.

Una capacità di entrare subito in contatto con la sua gente che l’ha aiutata di fronte alla due più grandi crisi del Paese prima del coronavirus. L’attentato di Christchurch, pochi mesi dopo la sua elezione, nel quale 51 musulmani furono massacrati dal suprematista bianco Brenton Tarrant, e l’eruzione del vulcano Waakari sulla piccola White Island, che ha ucciso 21 persone e scioccato la Nuova Zelanda.

Dopo la strage nelle due moschee hanno fatto il giro del mondo le immagini di Jacinda velata che abbracciava rappresentanti della comunità musulmana straziati dal dolore. ‘Empatia’ ma anche azione. In seguito all’attentato la premier decise di vietare immediatamente la vendita dei fucili d’assalto e varò in tempi record una stretta sulle armi in generale. Gentilezza ma anche determinazione quando, un altro dei momenti che la portarono al centro delle cronache, si presentò in visita alla regina Elisabetta indossando un caratteristico mantello Maori poco dopo aver dichiarato che la Nuova Zelanda diventerà una Repubblica e la rottura con la monarchia britannica non solo è possibile ma non è neanche lontana”. Sensibilità ma anche fermezza quando durante la campagna elettorale per il primo mandato zittì un giornalista definendo “inaccettabile per qualsiasi donna in qualsiasi posto di lavoro” la domanda sulle sue intenzioni di avere figli.

Ma la vera consacrazione di Ardern è avvenuta con la gestione della pandemia di coronavirus. La decisione a marzo di chiudere i confini e imporre il lockdown quando si contavano solo 102 casi, la Nuova Zelanda fu uno dei primi paesi al mondo a isolarsi, hanno fatto sì che nel Paese ci sono stati soltanto 2000 contagi e 25 morti. Un risultato notevole, mantenuto nonostante una seconda ondata ad Auckland che ha fatto slittare le elezioni e causato lockdown parziali di qualche settimana.

Con questa vittoria schiacciante e i contagi da Covid-19 praticamente a zero la premier dovrà ora dedicarsi a quelle che i critici considerano le promesse mancate del primo mandato, tra le quali case a prezzi accessibili e la povertà che colpisce i bambini. “I veri cambiamenti richiedono dei passaggi che portino le persone con noi”, ha detto Ardern nell’ultimo dibattito prima del voto. “Io resto fedele a me stessa, non ho ancora finito”.

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