Nell’immaginario collettivo la caccia alle streghe è un fenomeno medievale legato a superstizione, fanatismo religioso e ignoranza. Secondo la storia che ci viene insegnata a scuola poi, i secoli tra il 1300 e il 1700 furono invece quelli che sconfissero il buio del Medioevo con la luce della ragione, quelli del Rinascimento, in cui fiorirono arte e scienze e nacque la cultura umanista su cui si è plasmata l’intera cultura occidentale. Eppure è proprio in questi secoli che una parte della popolazione europea e del Nuovo Mondo fu perseguitata e uccisa, e nella fattispecie quella parte di popolazione che possedeva un utero. Ed è proprio su questo organo che si è cominciata a giocare una battaglia ben più grande, iniziata con i proprietari terrieri che recintavano i loro campi e finita con la catastrofe ambientale dei nostri giorni: il capitalismo.

Silvia Federici, femminista, scrittrice, militante e professoressa emerita alla Hofstra University di New York, individua infatti nella nascita del capitalismo e della sua accumulazione originaria la causa principale di quel massacro in cui morirono uccise, tra il 1328 e il 1782, cinquantamila persone, per la stragrande maggioranza donne. Un fenomeno trasversale che si verificò sia nei Paesi cattolici che in quelli protestanti, a dimostrazione della sua natura economica più che religiosa. Un processo materiale di riconfigurazione sociale necessario per la fondazione del nuovo ordine economico e sociale.

Caccia alle streghe, guerra alle donne“, uscito il 16 settembre per Not – Nero Edizioni, è una versione divulgativa e per “profani” del famoso saggio Calibano e la strega, scritto negli anni ‘80 e pubblicato in italiano per la prima volta da Mimemis nel 2015. Anche in questo caso si tratta di un saggio, scorrevole e con un linguaggio non solo per “addetti ai lavori”, diviso in due parti: nella prima Federici fa l’analisi storica del fenomeno che colpì l’Europa e le colonie americane, mentre nella seconda parte esamina le cause della nuova ondata di persecuzioni e violenze che stanno avvenendo negli ultimi trent’anni in numerosi Paesi subsahariani, asiatici e del Sud America.

Se il legame tra enclosures, cioè le siepi e le staccionate con cui si delimitavano i terreni, e la caccia alle streghe può sembrare una forzatura, in questo libro l’autrice spiega in maniera concreta, uno ad uno, pur con tutti i limiti di un’interpretazione materialista, i microprocessi che giustificano questa tesi.

Immaginate un villaggio europeo nel 1600. Il sistema feudale si sta sfaldando portando via con sé una società dalla cultura millenaria con un sistema di valori ancestrali legati alla natura, alla famiglia, alla comunità locale. Viene sostituito rapidamente con un nuovo sistema di commercializzazione delle terre che erano sempre state di tutti. Il re e i signorotti locali cominciano una corsa all’accaparramento di boschi e terreni che adesso acquistano un valore monetario ma che per secoli erano serviti al sostentamento di intere comunità che dall’oggi al domani si trovano abusive nelle loro stesse case. L’oro che arriva dalle Americhe crea un’ulteriore crisi economica.

Persone che prima vivevano una vita di comunità fatta di favori reciproci, di economia di sussistenza e informale, si trovano ad avere bisogno di soldi, molti soldi, per poter comprare il cibo. Si trovano costrette a trasferirsi nei pressi dei nascenti centri industriali per poter guadagnare qualcosa e diventare manodopera non qualificata a basso costo nelle periferie delle grandi città. Nei villaggi manca il cibo, vengono a mancare le conoscenze riguardo le erbe curative, viene a mancare il sostegno e la solidarietà. Si disgrega il tessuto sociale. Le persone cominciano ad invidiare il poco che gli altri hanno. A causa della situazione la mortalità infantile cresce più del solito, muore anche qualche animale domestico, piove per troppo tempo o c’è la carestia. Mesi e mesi di duro lavoro buttati. C’è una donna, un po’ avanti con gli anni, che vive sola ai margini del bosco. E’ stata mandata via dalla sua casa e le è stato tolto tutto ciò che aveva. Conosce tutti i segreti e le formule della natura e delle piante per curare i malanni, partorire, abortire, far innamorare, aumentare la fertilità e diminuirla. Immaginate una donna indipendente e autonoma, a cui piace fare i fatti suoi, che magari ha avuto uno o più figli senza mai sposarsi, che magari ha avuto uno o più amanti all’interno di un villaggio, che ha avuto una vita sessuale libera e che di tanto in tanto si ritrova in taverna con le sue amiche per confrontarsi e chiacchierare del più e del meno. I sospetti cominciano a ricadere su di lei. In paese si comincia a vociferare che sia stata lei a far morire i bambini o i cavalli, per invidia. Il prete, in cui tutti hanno fiducia, non solo legittima queste voci ma le alimenta. Si abbatte su di lei una serie di violenze sadiche e inaudite che la porteranno ben presto a confessare e poi a essere bruciata viva o impiccata.

Uno storico inglese del XVII secolo scriveva: “Le vili creature dei boschi vivono senza legge, non obbediscono e non rispondono a nessuno, perché ignorano ogni legame di dipendenza“. Allo stesso modo l’autrice gli fa eco, quattrocento anni dopo: “Attraverso la caccia alle streghe, quindi, venne introdotto un nuovo codice etico e sociale che rendeva sospetta ogni fonte di potere indipendente dallo Stato e dalla Chiesa, introducendo la paura dell’inferno e cioè la paura del male assoluto sulla Terra”. Secondo la lettura marxista di Federici, è questo il meccanismo che portò alla violenza sistematica verso le donne; meccanismo che si è ripetuto migliaia di volte nel passato e che purtroppo si sta ripetendo ai giorni nostri, in quei paesi che furono colonie e che negli ultimi decenni sono stati costretti ad aprirsi all’economia globalizzata e al libero mercato.

Ma perché proprio il corpo delle donne viene messo sotto processo? Perché come sempre questo si trova schiacciato in mezzo ai macroprocessi e viene preso di mira per la sua capacità di cooperare, tenere insieme e riprodurre comunità, ma soprattutto per la sua capacità di riprodurre forza lavoro. Il suo corpo e l’essere che porta in grembo, nel sistema capitalista, non è più affar suo o affare di donne, ma luogo di riproduzione della forza lavoro, su cui il capitale può imporsi e intervenire e che il potere può regolamentare. Non è un caso che proprio le levatrici, ovvero le ostetriche dell’epoca, insieme alle balie furono la categoria più sospettata e accusata di stregoneria. Il rapporto tra funzione riproduttiva e capitalismo è uno degli argomenti portanti al centro della ricerca di Federici ed è proprio ciò che Marx invece non aveva visto, ignorando del tutto questo aspetto e delineando una figura di lavoratore totalmente asessuato.

Da questa sconfitta della forza primigenia del femminino e delle donne da parte della spinta “civilizzatrice”, nascerà il nuovo modello di femminilità che di lì a poco si imporrà nell’immaginario borghese e romantico e che sopravvive ancora oggi. Si tratta di una donna sottomessa, indebolita, isolata dalle altre donne, relegata in casa a prendersi cura della famiglia senza che il suo lavoro domestico venga retribuito e quindi dipendente dal salario dell’uomo e soggetta alla violenza di quest’ultimo. “Dalle torture e dalle esecuzioni inflitte alle donne accusate di stregoneria, le altre donne hanno velocemente imparato a essere obbedienti e silenziose e a sottomettersi al duro lavoro e agli abusi degli uomini così da essere socialmente accettate.”

Ma attenzione, non è una donna solo vittima quella che ci dipinge Federici, bensì quelle che ci racconta sono “donne che resistevano all’impoverimento e all’esclusione sociale”. L’ultima resistenza al potere attraverso il terrore suscitato negli uomini alla guida degli Stati e delle comunità in cui vivevano.

Ciò da cui ci mette in guardia questo libro è che questo meccanismo si può ripetere sempre, in ogni epoca e in ogni società umana, quando si mette in atto “L’esagerazione, in proporzioni mitiche, dei “crimini” commessi così da giustificare orribili punizioni costituisce un mezzo efficace per terrorizzare un’intera società, isolare le vittime, scoraggiare la resistenza e fare in modo che masse di persone abbiano paura di intraprendere azioni fino a quel momento ritenute normali”. Si è ripetuto con il maccartismo e con la “guerra al terrorismo” e si ripeterà ogni qualvolta si permetta “la rappresentazione della resistenza agli abusi del potere come una cospirazione demoniaca”.

Nell’ultimo capitolo l’autrice ci lascia infatti con una serie di consigli rivolti alle donne e alle femministe dei Paesi in cui il neocolonialismo sta causando il ripetersi della tragedia, con l’aiuto di sette evangeliche fondamentaliste: tattiche basate sull’azione diretta nei quartieri, sit-in davanti le case degli assassini e davanti le sedi di quelle agenzie internazionali che si dicono a favore dei diritti dell’uomo, ma che non fanno nulla per fermare lo sfruttamento dei territori da parte di compagnie petrolifere ed estrattive. Ma soprattutto un invito alle donne ad uscire di casa, confrontarsi, parlare ed agire nelle loro comunità, insieme alle loro sorelle, perché se non saranno le donne stesse a organizzarsi contro la caccia alle streghe e la guerra che il potere sta loro muovendo, nessun altro lo farà.

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