Con la nuova Alitalia, che si chiamerà Ita (Italia Trasporto Aereo), è nato un nuovo, costoso e inutile gigante dai piedi di argilla, che continuerà a percorrere il sentiero degli aiuti di stato e dei sussidi pubblici (oltre 12 miliardi di euro finora) che dura da 20 anni, mentre la compagnia sotto diversi nomi è in cassa integrazione da ben 13 (tredici) anni.

Sono dunque in arrivo altri 3 miliardi di euro dei contribuenti e la Cassa integrazione straordinaria per 6.800 addetti, per intercettare un mercato del trasporto aereo che, per almeno i prossimi tre anni, dovrà fare i conti con un mercato annullato dal Covid. A parte la crisi, poi, il mercato europeo era già saldamente in mano alle compagnie low cost, così come quello domestico dove Alitalia operava in perdita e con un ruolo marginale. Senza un futuro di mercato, allora, perché fare un ennesimo grande investimento (ammesso che l’Ue lo approvi) pagato da Pantalone senza alcuna garanzia?

Va ricordato che la Ue ha autorizzato tante ricapitalizzazioni alle compagnie di bandiera del vecchio continente, ma queste non si sono sommate a una lunga serie di aiuti come quelli di cui ha goduto Alitalia. La Commissione Ue, peraltro, deve ancora pronunciarsi sulla legittimità degli aiuti da 1,3 miliardi di euro ricevuti dalla compagnia dal 2017 a oggi. Se gli aiuti saranno considerati ‘di stato’, quindi illegittimi e da restituire, allora si cercherà di far ricadere tutto il peso sulla vecchia società che diventerà una sorta di bad company. Questa (nuova-nuova) nuova Alitalia nasce dunque sotto i peggiori auspici. Tra gli advisor incaricati di elaborare il piano industriale ci sono dei manager che non sono riusciti a rimettere in rotta Meridiana fly ed Air Italy, miseramente fallite.

La pandemia poi accentuerà anche la crisi degli aeroporti italiani, che già prima del Covid aveva la produttività media degli scali più bassa, con 4,8 milioni di passeggeri all’anno per scalo, contro i 7 degli spagnoli, i 10,8 dei tedeschi e gli 11,6 degli inglesi. Anche il Pil generato in Italia dagli aeroporti è il più basso d’Europa. Per questo la nascita di una nuova grande compagnia statale, Ita, desta moltissime perplessità.

Alla fine della crisi, Ita si dovrà misurare oltre che con concorrenti ancora più aggressivi anche con la crisi climatica (le restrizioni sui voli inquinanti), con una mobilità ridotta dallo smartworking e con la concorrenza dell’alta velocità sulle tratte domestiche. Sarà l’ennesimo flop pagato dagli italiani in piena continuità con il passato, al contrario di quanto dice la ministra Paola De Micheli.

Anche la nomina dei consiglieri di amministrazione è stata lottizzata, con un Cda allargato da sette a nove membri, per soddisfare tutti gli appetiti politici – e nel quale c’è anche una forte presenza di settori privati garantiti dalle concessioni pubbliche, come le autostrade – più cinque revisori dei conti raccolti dai soliti studi professionali.

Una volta si chiamavano boiardi di stato, ora sono tutti ex amministratori o ex manager che hanno lavorato in grandi aziende statali come l’Anas, la Breda, l’Ilva, la Finmeccanica, le Fs e la Saipem (Eni). Ci saranno anche i rappresentanti dei maggiori studi professionali e legali del Paese.

Il neopresidente di Ita, Francesco Caio, ha candidamente ammesso di non essere a tempo pieno e terrà anche la presidenza di Saipem (nota per le grandi commesse pubbliche ricevute senza gara).

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