Le inchieste sulla strage del Moby Prince non sono ancora finite. La Procura di Livorno e a quanto risulta a ilfattoquotidiano.it ora anche la Dda di Firenze ripartono da due pilastri: uno è il documento del Sismi del 2003 – desecretato tre anni fa dalla commissione parlamentare sulle ecomafie – che colloca l’incidente (che a Livorno il 10 aprile 1991 provocò la morte di 140 persone) in un quadro di traffici illegali di armi, scorie e rifiuti tossici tra Iraq e Italia; l’altro sono le risultanze della commissione d’inchiesta del Senato. Tra queste ultime, in particolare, le anomalie sollevate nelle conclusioni rispetto agli accordi assicurativi dei soggetti coinvolti. Su queste anomalie si concentra il Gico della Guardia di Finanza, su coordinamento dei magistrati. Una nuova ipotesi investigativa si fonderebbe in particolare su due punti già noti ma letti con una chiave diversa.
Il primo è la previsione reale da parte dell’armatore del Moby Prince, Vincenzo Onorato, all’atto di firma delle polizze sul traghetto, di un carico di valore superiore al valore reale di corpo e macchine della nave. Una previsione condivisa con l’assicuratore Unione Mediterranea di Sicurtà (oggi Generali) e associata al rischio reale di vedere il Moby Prince e il suo carico oggetto di “attacchi terroristici” o “azioni di guerra”. Cosa mai avrebbe potuto rendere il traghetto Moby Prince di un valore quasi tre volte superiore al suo valore di mercato? E soprattutto come hanno fatto l’armatore e Unione Mediterranea di Sicurtà ad accordarsi in termini assicurativi su un’ipotesi “stragista”, ad un occhio esterno oltre l’impossibile, che alla fine invece si realizzerà – almeno nelle sue forme – in quella notte tra il 10 e l’11 aprile 1991?
Il secondo elemento è il documento di due pagine con cui la compagnia dell’armatore del Moby Prince Vincenzo Onorato si legò alla The Standard Steamship Owners Ltd Bermuda, tramite l’agenzia Charles Taylor di Londra. In tale documento, presente negli atti giudiziari, è assente la firma del contraente e la data è fotocopiata e per giunta senza la prima cifra del giorno. Se come sembra, nessuna delle aziende di Onorato – Navarma, Moby Invest (oggi Moby spa) o Fion – aveva prima dell’incidente né ha avuto mai dopo rapporti con questo assicuratore, resta la domanda sul motivo per cui questo assicuratore arriva nel marzo 1991 a firmare due pagine di contratto e in forza di queste si trova tre mesi dopo a iniziare a pagare risarcimenti per un importo quindici volte superiore a quanto contrattualizzato. Il tutto, senza chiedere nulla in cambio – come dimostrano i bilanci delle aziende di Onorato – e con l’effetto di suggellare col proprio denaro l’accordo tra le parti note in causa (Navarma da una parte, le società pubbliche Snam e Agip dall’altra più i rispettivi assicuratori) che – come ha scritto nelle sue conclusioni la commissione d’inchiesta del Senato – “pone una pietra tombale su qualunque ipotesi conflittuale sulle responsabilità”. Di qui l’idea degli inquirenti di mettere in discussione natura e valore del “contratto assicurativo” tra l’assicuratore delle Bermuda, curato dalla Charles Taylor londinese, e la compagnia di Onorato.
Per comprendere la portata delle questioni è necessario riassumere gli elementi di questo quadro assicurativo, emersi grazie al lavoro della Commissione parlamentare. Carte ufficiali alla mano, infatti, il traghetto Moby Prince al momento dell’incidente era protetto da due assicurazioni gemelle, firmate lo stesso giorno, che lo valutavano circa 3 volte il suo valore di bilancio. E una di queste polizze lo copriva da “rischio guerra”. Per anni si è ritenuto che questa polizza nascondesse l’ipotesi di un ordigno a basso potenziale, collocato nel locale eliche di prua del traghetto, e finalizzato a realizzare una truffa assicurativa a danno dell’Unione Mediterranea di Sicurtà, mentre l’armatore del Moby Prince Vincenzo Onorato spiegò a processo il 22 gennaio 1996 di essere convinto che a mettergli la bomba fosse stato Pascal Lotà della Corsica Ferries, suo concorrente.
La dichiarazione di Onorato non comportò, in una incredibile violazione del codice, alcun procedimento parallelo a carico di ignoti e nemmeno fu seguita da alcuna querela del patron della Corsica Ferries, circostanza anomala più volte ricordata pubblicamente nelle commemorazioni della strage dal presidente dell’associazione delle vittime “140”, Loris Rispoli.
Nel frattempo però la storia attuale, raccontata dalla Commissione di inchiesta, dice che Vincenzo Onorato, armatore del Moby Prince, e il suo co-amministratore delegato, il padre Achille, hanno ottenuto condizioni oltremodo vantaggiose dai due assicuratori (l’Unione Mediterranea di Sicurtà e The Standard Steamship Owner’s di Bermuda). Questo per due ragioni. La prima: la plusvalenza sul traghetto (di quasi tre volte il suo valore) tra l’altro nonostante l’inchiesta in corso sull’incidente – condizione non contrattualizzata e quindi incredibilmente ottenuta da Onorato, padre o figlio è da verificare -. La seconda ragione: la The Standard Steamship Owner’s Ltd di Bermuda pagò circa 60 miliardi di risarcimenti, benché da “contratto” ne avrebbe potuto saldare massimo 4. Subito dopo questa Standard sparisce dalla storia e non ha mai alcun rapporto con Onorato. In pratica, per riassumere, un’operazione a perdere da parte di due assicuratori, di solito imprese alquanto solerti nel cercare forme di profitto e non di perdita secca senza recupero.