Le indagini sulla tragedia del Moby Prince affrontano l’ennesima curva, quasi trent’anni dopo. Nella terza inchiesta della Procura di Livorno, questa volta con l’ipotesi di reato di strage (l’unico non prescritto) e su impulso del lavoro della commissione d’inchiesta parlamentare, si allunga ora l’ombra delle mafie. Si tratta di un’ipotesi investigativa che porterebbe sulla scena del disastro navale del 10 aprile 1991 (140 morti) organizzazioni mafiose che avrebbero avuto un ruolo di monitoraggio, fruizione o controllo di un “mercato a mare notturno” di prodotti illegali. Anche per questo la Procura di Livorno ha raccolto la testimonianza del pentito di ‘ndrangheta Filippo Barreca il quale peraltro avrebbe fatto pochi riferimenti all’incidente avvenuto a poche miglia dalla costa di Livorno. Quali sono quei “prodotti illegali” sui quali quella notte “vigilava” la presunta presenza mafiosa? Quello che si sa è che un documento dell’allora Sismi – i Servizi segreti militari – nel 2003 inseriva la strage del Moby Prince in una specie di mappa che si riferiva a “traffico di materiale bellico recuperato, di scorie nucleari e di armi”. Va ricordato che nella notte della tragedia la rada del porto di Livorno era affollata di navi militarizzate degli Stati Uniti, che a pochi chilometri dallo scalo livornese c’è Camp Darby – una delle basi Nato più grandi d’Europa e che la Guerra del Golfo era stata dichiarata terminata 42 giorni prima del disastro di Livorno (tradotto: da Livorno passavano i materiali bellici di rientro dall’Iraq dopo la fine del conflitto).
La comparsa di questa ipotesi investigativa ha fatto sì che, secondo fonti de ilfattoquotidiano.it, oltre al lavoro del procuratore capo Ettore Squillace Greco e della sostituta titolare dell’inchiesta Sabrina Carmazzi si aggiungerà il coordinamento della Direzione distrettuale antimafia di Firenze.
Ad oggi – nel corso delle due precedenti inchieste sul Moby finite con assoluzioni e archiviazioni – solo un testimone ha raccontato a verbale che una delle navi militarizzate Usa “stava imbarcando armi”. Si tratta di Cesare Gentile, all’epoca dei fatti tenente della Guardia di Finanza, imbarcato su una delle motovedette che operarono in mare per portare i primi soccorsi dopo la collisione tra il traghetto e la petroliera Agip Abruzzo. Gentile poi, nel 2009, nell’inchiesta bis, ha corretto il suo racconto raccontando comunque che quella nave, di giorno, era interessata da un trasbordo di armi a Camp Darby, scortato proprio dalla Finanza. Questo fa quindi dedurre che delle certificate 7 navi militari e militarizzate americane in rada – oltre alle almeno tre navi fantasma rintracciate da ilfattoquotidiano.it – solo una aveva flussi con Camp Darby, mentre le altre restarono lì per decine di giorni, senza, ad oggi, un motivo noto. La domanda che dà origine alla nuova ipotesi investiva, all’attenzione dei magistrati inquirenti, è se il motivo non sia appunto la partecipazione al “mercato illegale” a mare che avrebbe caratterizzato la rada del porto la notte della tragedia sotto l’egida, il controllo o la semplice presenza collaborativa, di associazioni di tipo mafioso.
Questo scenario si collegherebbe a un altro fatto “anomalo” di quella sera, emerso solo dopo le conclusioni della commissione d’inchiesta. E’ un video che riprende l’incidente poco dopo la collisione. Di più: è il filmato più prossimo temporalmente al momento del disastro. L’autore del video è ignoto: le immagini sono rimaste per 28 anni negli archivi di una tv locale, Granducato Tv, dove nessuno le ha cercate. Il filmato è arrivato in Procura solo tramite chi scrive. Risulta girato da una collina a circa 11 chilometri dallo specchio di mare in cui il Moby Prince – per cause mai accertate – finì contro la cisterna di una petroliera all’ancora. Chi lo ha registrato? Vista la distanza, l’operatore aveva un’ottica telescopica e nel 1991 così come oggi nessun operatore video ha un’ottica telescopica per riprendere qualcosa a 11 chilometri. Ignoto l’autore, ignoto il motivo che lo portò a filmare il disastro del Moby poco dopo l’impatto.
Ma è noto, da almeno un anno, da dove fu girato il video: si tratta di un’area su una frazione collinare alle spalle di Livorno, Limoncino. E’ uno spazio residenziale al fianco di una delle principali discariche della città, che raccoglie rifiuti speciali non pericolosi e inerti. La presenza di qualcuno con attrezzatura militare impegnato a riprendere il teatro della collisione in mare da una distanza così elevata apre scenari finora inesplorati, oggetto d’attenzione da parte degli inquirenti. Quel 10 aprile 1991 a Livorno erano infatti ben poche le persone che potevano disporre di un’ottica telescopica con cui riprendere a 11 chilometri di distanza le risultanze di un incidente, ad oggi ritenuto casuale. Erano anche meno quelle che anziché guardare – come mezza Italia – Juve-Barcellona si trovavano pronte a registrare cosa avveniva nel mare buio di Livorno.
Giustizia & Impunità
Moby Prince, l’ombra delle mafie sul disastro di Livorno: “Quella notte controllavano scambi di contrabbando”. Ora indaga anche la Dda
La Procura al lavoro per verificare una nuova pista nell'inchiesta ter puntellata sull'ipotesi di reato di strage (l'unica non prescritta). Sentito anche il pentito di 'ndrangheta Filippo Barreca. Ecco gli scenari e i possibili collegamenti
Le indagini sulla tragedia del Moby Prince affrontano l’ennesima curva, quasi trent’anni dopo. Nella terza inchiesta della Procura di Livorno, questa volta con l’ipotesi di reato di strage (l’unico non prescritto) e su impulso del lavoro della commissione d’inchiesta parlamentare, si allunga ora l’ombra delle mafie. Si tratta di un’ipotesi investigativa che porterebbe sulla scena del disastro navale del 10 aprile 1991 (140 morti) organizzazioni mafiose che avrebbero avuto un ruolo di monitoraggio, fruizione o controllo di un “mercato a mare notturno” di prodotti illegali. Anche per questo la Procura di Livorno ha raccolto la testimonianza del pentito di ‘ndrangheta Filippo Barreca il quale peraltro avrebbe fatto pochi riferimenti all’incidente avvenuto a poche miglia dalla costa di Livorno. Quali sono quei “prodotti illegali” sui quali quella notte “vigilava” la presunta presenza mafiosa? Quello che si sa è che un documento dell’allora Sismi – i Servizi segreti militari – nel 2003 inseriva la strage del Moby Prince in una specie di mappa che si riferiva a “traffico di materiale bellico recuperato, di scorie nucleari e di armi”. Va ricordato che nella notte della tragedia la rada del porto di Livorno era affollata di navi militarizzate degli Stati Uniti, che a pochi chilometri dallo scalo livornese c’è Camp Darby – una delle basi Nato più grandi d’Europa e che la Guerra del Golfo era stata dichiarata terminata 42 giorni prima del disastro di Livorno (tradotto: da Livorno passavano i materiali bellici di rientro dall’Iraq dopo la fine del conflitto).
La comparsa di questa ipotesi investigativa ha fatto sì che, secondo fonti de ilfattoquotidiano.it, oltre al lavoro del procuratore capo Ettore Squillace Greco e della sostituta titolare dell’inchiesta Sabrina Carmazzi si aggiungerà il coordinamento della Direzione distrettuale antimafia di Firenze.
Ad oggi – nel corso delle due precedenti inchieste sul Moby finite con assoluzioni e archiviazioni – solo un testimone ha raccontato a verbale che una delle navi militarizzate Usa “stava imbarcando armi”. Si tratta di Cesare Gentile, all’epoca dei fatti tenente della Guardia di Finanza, imbarcato su una delle motovedette che operarono in mare per portare i primi soccorsi dopo la collisione tra il traghetto e la petroliera Agip Abruzzo. Gentile poi, nel 2009, nell’inchiesta bis, ha corretto il suo racconto raccontando comunque che quella nave, di giorno, era interessata da un trasbordo di armi a Camp Darby, scortato proprio dalla Finanza. Questo fa quindi dedurre che delle certificate 7 navi militari e militarizzate americane in rada – oltre alle almeno tre navi fantasma rintracciate da ilfattoquotidiano.it – solo una aveva flussi con Camp Darby, mentre le altre restarono lì per decine di giorni, senza, ad oggi, un motivo noto. La domanda che dà origine alla nuova ipotesi investiva, all’attenzione dei magistrati inquirenti, è se il motivo non sia appunto la partecipazione al “mercato illegale” a mare che avrebbe caratterizzato la rada del porto la notte della tragedia sotto l’egida, il controllo o la semplice presenza collaborativa, di associazioni di tipo mafioso.
Questo scenario si collegherebbe a un altro fatto “anomalo” di quella sera, emerso solo dopo le conclusioni della commissione d’inchiesta. E’ un video che riprende l’incidente poco dopo la collisione. Di più: è il filmato più prossimo temporalmente al momento del disastro. L’autore del video è ignoto: le immagini sono rimaste per 28 anni negli archivi di una tv locale, Granducato Tv, dove nessuno le ha cercate. Il filmato è arrivato in Procura solo tramite chi scrive. Risulta girato da una collina a circa 11 chilometri dallo specchio di mare in cui il Moby Prince – per cause mai accertate – finì contro la cisterna di una petroliera all’ancora. Chi lo ha registrato? Vista la distanza, l’operatore aveva un’ottica telescopica e nel 1991 così come oggi nessun operatore video ha un’ottica telescopica per riprendere qualcosa a 11 chilometri. Ignoto l’autore, ignoto il motivo che lo portò a filmare il disastro del Moby poco dopo l’impatto.
Ma è noto, da almeno un anno, da dove fu girato il video: si tratta di un’area su una frazione collinare alle spalle di Livorno, Limoncino. E’ uno spazio residenziale al fianco di una delle principali discariche della città, che raccoglie rifiuti speciali non pericolosi e inerti. La presenza di qualcuno con attrezzatura militare impegnato a riprendere il teatro della collisione in mare da una distanza così elevata apre scenari finora inesplorati, oggetto d’attenzione da parte degli inquirenti. Quel 10 aprile 1991 a Livorno erano infatti ben poche le persone che potevano disporre di un’ottica telescopica con cui riprendere a 11 chilometri di distanza le risultanze di un incidente, ad oggi ritenuto casuale. Erano anche meno quelle che anziché guardare – come mezza Italia – Juve-Barcellona si trovavano pronte a registrare cosa avveniva nel mare buio di Livorno.
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(Adnkronos) - Stefano Conti è un uomo libero. L'Adnkronos può rivelare che al processo a Panama City sono cadute tutte le accuse. Raggiunto al telefono, Andrea Di Giuseppe, il parlamentare di Fratelli d'Italia eletto nella Circoscrizione Centro e Nord America, festeggia il risultato raggiunto dopo oltre due anni: "Dieci minuti fa ho parlato con il padre, si è commosso alla notizia che Stefano era finalmente stato prosciolto. Ha passato oltre 400 giorni in una delle peggiori galere del mondo, un luogo che non si riesce neanche a immaginare, e senza nessuna condanna, ma solo per una carcerazione preventiva in attesa di un processo che sembrava non arrivare mai. Ma insieme alla Farnesina e all'ambasciata, ho fatto di tutto per fargli ridurre la misura cautelare e farlo stare in una condizione meno disumana. L'anno scorso siamo riusciti a fargli avere i domiciliari, oggi la notizia più bella. Una grande vittoria per il nostro Paese".
Stefano Conti è un trader brianzolo di 40 anni, che per oltre due anni è stato accusato di tratta di esseri umani a scopo sessuale. Rischiava una condanna fino a 30 anni di reclusione, nonostante le presunte vittime avessero ritrattato le accuse, sostenendo di aver subito pressioni dalla polizia panamense.
Conti ha anche pubblicato un libro intitolato 'Ora parlo io: 423 giorni nell'inferno di Panama', in cui racconta la sua esperienza nel carcere panamense e ribadisce la sua innocenza. Il libro è uscito a dicembre scorso, in attesa dell'inizio del processo.
Andrea Di Giuseppe ha partecipato alle udienze preliminari, "non per influire sul merito della vicenda", spiega all'Adnkronos, ma per fargli avere il giusto processo che qualunque essere umano merita. Ho coinvolto la comunità italiana, ho parlato con i politici panamensi, sono stato accanto a lui davanti al giudice, per far capire al sistema giudiziario che quell'uomo non era solo, ma aveva accanto a sé il suo Paese”.
Conti "rimarrà ancora a Panama fino al 4 aprile, per motivi burocratici, ma appena avrà tutti i documenti in ordine potrà tornare in Italia", aggiunge il deputato italiano. Che non ha finito quella che è diventata una sorta di missione. "Dopo aver aiutato a liberare i due italiani in Venezuela, e dopo il più famoso caso di Chico Forti, il prossimo per cui mi impegnerò è l'ingegner Maurizio Cocco, rinchiuso in Costa d’Avorio da oltre due anni. Ne sentirete parlare presto". Sì perché gli italiani rinchiusi all'estero sono circa duemila, "e molti di questi sono in stato di carcerazione preventiva. Dei conti di Montecristo dimenticati da tutti. Ma ora il nostro governo, grazie anche all'azione dei sottosegretari agli Esteri Silli e Cirielli, e ovviamente all'attivismo della premier Meloni, sta finalmente affrontando questi casi. Non sono più dei fantasmi, ma dei nostri connazionali che devono poter avere tutta l'assistenza legale, politica e umana che possiamo dargli. È solo l'inizio. L'Italia sta contando e pesando di più nel mondo", conclude Di Giuseppe. (Di Giorgio Rutelli)
(Adnkronos) - Stefano Conti è un uomo libero. L'Adnkronos può rivelare che al processo a Panama City sono cadute tutte le accuse. Raggiunto al telefono, Andrea Di Giuseppe, il parlamentare di Fratelli d'Italia eletto nella Circoscrizione Centro e Nord America, festeggia il risultato raggiunto dopo oltre due anni: "Dieci minuti fa ho parlato con il padre, si è commosso alla notizia che Stefano era finalmente stato prosciolto. Ha passato oltre 400 giorni in una delle peggiori galere del mondo, un luogo che non si riesce neanche a immaginare, e senza nessuna condanna, ma solo per una carcerazione preventiva in attesa di un processo che sembrava non arrivare mai. Ma insieme alla Farnesina e all'ambasciata, ho fatto di tutto per fargli ridurre la misura cautelare e farlo stare in una condizione meno disumana. L'anno scorso siamo riusciti a fargli avere i domiciliari, oggi la notizia più bella. Una grande vittoria per il nostro Paese".
Stefano Conti è un trader brianzolo di 40 anni, che per oltre due anni è stato accusato di tratta di esseri umani a scopo sessuale. Rischiava una condanna fino a 30 anni di reclusione, nonostante le presunte vittime avessero ritrattato le accuse, sostenendo di aver subito pressioni dalla polizia panamense.
Conti ha anche pubblicato un libro intitolato 'Ora parlo io: 423 giorni nell'inferno di Panama', in cui racconta la sua esperienza nel carcere panamense e ribadisce la sua innocenza. Il libro è uscito a dicembre scorso, in attesa dell'inizio del processo.
Andrea Di Giuseppe ha partecipato alle udienze preliminari, "non per influire sul merito della vicenda", spiega all'Adnkronos, ma per fargli avere il giusto processo che qualunque essere umano merita. Ho coinvolto la comunità italiana, ho parlato con i politici panamensi, sono stato accanto a lui davanti al giudice, per far capire al sistema giudiziario che quell'uomo non era solo, ma aveva accanto a sé il suo Paese”.
Conti "rimarrà ancora a Panama fino al 4 aprile, per motivi burocratici, ma appena avrà tutti i documenti in ordine potrà tornare in Italia", aggiunge il deputato italiano. Che non ha finito quella che è diventata una sorta di missione. "Dopo aver aiutato a liberare i due italiani in Venezuela, e dopo il più famoso caso di Chico Forti, il prossimo per cui mi impegnerò è l'ingegner Maurizio Cocco, rinchiuso in Costa d’Avorio da oltre due anni. Ne sentirete parlare presto". Sì perché gli italiani rinchiusi all'estero sono circa duemila, "e molti di questi sono in stato di carcerazione preventiva. Dei conti di Montecristo dimenticati da tutti. Ma ora il nostro governo, grazie anche all'azione dei sottosegretari agli Esteri Silli e Cirielli, e ovviamente all'attivismo della premier Meloni, sta finalmente affrontando questi casi. Non sono più dei fantasmi, ma dei nostri connazionali che devono poter avere tutta l'assistenza legale, politica e umana che possiamo dargli. È solo l'inizio. L'Italia sta contando e pesando di più nel mondo", conclude Di Giuseppe. (Di Giorgio Rutelli)
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Più che le conclusioni del Consiglio europeo sembrano un bollettino di guerra, con i nostri governanti che, in un clima di ubriacatura collettiva, programmano una spesa straordinaria di miliardi su miliardi per armi, missili e munizioni. E la premier Meloni cosa dice? 'Riarmo non è la parola adatta' per questo piano. Si preoccupa della forma e di come ingannare i cittadini. Ma i cittadini non sono stupidi! Giorgia Meloni come lo vuoi chiamare questo folle programma che, anziché offrire soluzioni ai bisogni concreti di famiglie e imprese, affossa l’Europa della giustizia e della civiltà giuridica per progettare l’Europa della guerra?". Lo scrive Giuseppe Conte sui social.
"I fatti sono chiari: dopo 2 anni e mezzo di spese, disastri e fallimenti in Ucraina anziché chiedere scusa agli italiani, Meloni ha chiesto a Von der Leyen di investire cifre folli in armi e spese militari dopo aver firmato sulla nostra testa a Bruxelles vincoli e tagli sugli investimenti che ci servono davvero su sanità, energia, carovita, industria e lavoro. Potremmo trovarci a spendere oltre 30 miliardi aggiuntivi sulle armi mentre ne mettiamo 3 scarsi sul carobollette".
"Stiamo vivendo pagine davvero buie per l’Europa. I nostri governanti, dopo avere fallito con la strategia dell’escalation militare con la Russia, non hanno la dignità di ravvedersi, anzi rilanciano la propaganda bellica. La conclusione è che il blu di una bandiera di pace scolora nel verde militare. Dai 209 miliardi che noi abbiamo riportato in Italia dall'Europa per aziende, lavoro, infrastrutture, scuole e asili nido, passiamo a montagne di soldi destinati alle armi".
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Much appreciated". Lo scrive Elon Musk su X commentando un post in cui si riporta la posizione della Lega e di Matteo Salvini sul ddl Spazio e Starlink. Anche il referente in Italia del patron di Tesla, Andrea Stroppa, ringrazia via social Salvini: "Grazie al vice PdC Matteo Salvini per aver preso posizione pubblicamente".
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - Gianfranco Librandi, presidente del movimento politico “L’Italia c’è”, ha smentito categoricamente le recenti affermazioni giornalistiche riguardanti una presunta “coalizione di volenterosi” per il finanziamento di Forza Italia. Librandi ha dichiarato: “Sono tutte fantasie del giornalista. Smentisco assolutamente di aver parlato di una coalizione di volenterosi che dovrebbero contribuire al finanziamento del partito”.
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Il vergognoso oltraggio del Museo della Shoah di Roma è l'ennesimo episodio di un sentimento antisemita che purtroppo sta riaffiorando. È gravissima l'offesa alla comunità ebraica ed è gravissima l'offesa alla centralità della persona umana e all'amicizia tra i popoli. Compito di ognuno deve essere quello di prendere decisamente le distanze da questi vergognosi atti, purtroppo sempre più frequenti in ambienti della sinistra radicale infiltrata da estremisti islamici , che offendono la memoria storica e le vittime della Shoah. Esprimo la mia più sentita solidarietà all'intera Comunità ebraica con l'auspicio che tali autentici delinquenti razzisti antisemiti siano immediatamente assicurati alla giustizia ". Lo ha dichiarato Edmondo Cirielli, Vice Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
Roma, 6 mar. (Adnkronos) - "Meloni ha perso un'occasione rispetto a due mesi fa quando si diceva che sarà il ponte tra l'America di Trump e l'Europa e invece Trump parla con Macron, con Starmer e lo farà con Merz. Meloni è rimasta un po' spiazzata. Le consiglio di non essere timida in Europa perchè se pensa di sistemare i dazi un tete a tete con Trump, quello la disintegra. Meloni deve stare con l'Europa e Schlein quando le dice di non stare nel mezzo tra America e Europa è perchè nel mezzo c'è l'Oceano e si affoga". Lo dice Matteo Renzi a Diritto e Rovescio su Rete4.