Lo stop alle sagre e alle fiera di comunità (ma non a quelle di carattere nazionale) contenuto nel nuovo dpcm annunciato dal premier Giuseppe Conte colpirà tre italiani su quattro. Perché il 73% della popolazione ogni anno, in autunno, partecipa a eventi enogastronomici e folkloristici organizzati da Nord a Sud. A lanciare l’allarme sugli effetti del nuovo provvedimento è un’analisi di Coldiretti/Ixè. Effetti che verranno subìti dalle comunità locali, dai circa 34mila operatori ambulanti nel settore alimentare, ma che si sentiranno anche “sugli acquisti degli italiani – spiega Coldiretti – che sfruttano questi eventi pure per rifornire le proprie dispense di prodotti tipici, con una spesa complessiva annuale stimabile in almeno 900 milioni.
IL DECRETO SALVA LE FIERE NAZIONALI – A poche ore dall’annuncio di Conte sulle voci di ulteriori restrizioni era intervenuto anche Maurizio Danese, il presidente di Aefi (Associazione esposizioni e fiere italiane), i cui associati dal 1 settembre scorso hanno riaperto i quartieri e fatto partire 47 manifestazioni (di cui 20 internazionali) “realizzate in totale sicurezza” ha spiegato, e “dando un’iniezione di fiducia al business delle imprese italiane espositrici”. Forte, dunque, la preoccupazione per il nuovo dpcm. “Non possiamo fermare nuovamente le fiere, siamo preoccupati per le voci relative alle ulteriori restrizioni che il prossimo dpcm potrebbe imporre” aveva detto, sottolineando che le fiere “sono una fonte di business, sono fatte da professionisti e hanno protocolli molto rigidi in materia di salute e sicurezza, che vengono rispettati in tutte le fasi delle manifestazioni e degli allestimenti e tengono conto delle dimensioni di ciascun quartiere”. Ma se il decreto ha salvato le fiere di carattere nazionale, il governo ha deciso di ascoltare almeno in parte le richieste avanzate dal Comitato tecnico scientifico sugli eventi aperti al pubblico, fermando sagre, fiere e mercati di paese.
L’ANALISI DI COLDIRETTI/IXÈ – Si tratta di eventi dedicati “a ricorrenze storiche o religiose, ma soprattutto a prodotti tipici dell’enogastronomia locale – sottolinea Coldiretti – che sono molto spesso al centro dei festeggiamenti che si concentrano proprio in autunno, dalle castagne ai funghi fino ai tartufi”. Ora 43 milioni di italiani dovranno rinunciarci, anche se molti eventi, nella situazione generale di incertezza, erano già stati cancellati. Ogni cittadino spendeva una media di 20 euro all’anno. Un momento conviviale alternativo che riguarda sia le località più turistiche, ma anche più spesso le aree interne meno battute “dove si va a guardare, curiosare fra le bancarelle e magari anche acquistare qualcosa, spesso prodotti del territorio con lo street food che ha fatto segnare una vera e propria esplosione negli ultimi anni”.
Di fatto, il 92% delle produzioni tipiche nazionali nasce proprio nei piccoli borghi italiani con meno di 5mila abitanti. “Un patrimonio conservato nel tempo dalle imprese agricole – aggiunge l’associazione – con un impegno quotidiano per assicurare la salvaguardia delle colture agricole storiche, la tutela del territorio dal dissesto idrogeologico e il mantenimento delle tradizioni alimentari”. L’alternativa alle manifestazioni enogastronomiche cancellate dalla pandemia sono gli oltre mille mercati degli agricoltori “che – evidenzia Coldiretti – si sono diffusi in molte grandi e piccole città grazie alla Fondazione Campagna Amica che ha realizzato la più vasta rete di vendita diretta a livello mondiale insieme agli spacci in fattoria e agli agriturismi”.