Sarà processato per falso la deputata di Italia viva Giusy Occhionero. Il giudice per l’udienza preliminare di Palermo l’ha rinviata a giudizio nell’ambito dell’inchiesta scaturita dopo il fermo per mafia di Antonello Nicosia, l’attivista radicale poi diventato suo collaboratore dopo un colloquio telefonico. La parlamentare, secondo l’accusa, gli consentì di entrare con lei nelle carceri senza autorizzazione e di avere incontri con i boss. Solo in un secondo momento, dopo tre ispezioni in istituti di pena siciliani, i due avrebbero formalizzato il rapporto di collaborazione. Nicosia, coimputato della Occhionero accusato di falso aggravato e associazione mafiosa, ha scelto il rito abbreviato, come il boss di Sciacca Accursio Dimino e Paolo e Luigi Ciaccio, che rispondono di favoreggiamento. Rinviato a giudizio, come Occhionero, Massimiliano Mandracchia, anche lui imputato di favoreggiamento.

Dall’inchiesta è emerso che, oltre a progettare estorsioni e omicidi, Nicosia, sedicente docente universitario, da anni impegnato in battaglie a difesa dei detenuti, era riuscito a incontrare anche capimafia al 41 bis. Il 21 dicembre 2018, dopo aver avuto con Nicosia solo contatti telefonici, la deputata è arrivata a Palermo e ha incontrato Nicosia con cui è andata immediatamente a fare un’ispezione al carcere Pagliarelli. All’ingresso ha dichiarato che era un suo collaboratore: circostanza, hanno accertato i pm anche attraverso indagini alla Camera, falsa. All’epoca, infatti nessun rapporto di lavoro era stato formalizzato. Il giorno successivo i due hanno fatto, con le stesse modalità, visite nelle carceri di Agrigento e Sciacca. Ai pm che in principio l’hanno sentita come persona informata sui fatti, la donna ha detto di non aver avuto contezza della doppia personalità di Nicosia, formalmente paladino dei diritti dei carcerati, di fatto uomo d’onore che portava all’esterno i messaggi dei boss.

La deputata era stata interrogata e aveva spiegato di aver conosciuto Nicosia ramite i Radicali Italiani che, non avendo un proprio un deputato alla Camera, le avevano suggerito di assumerlo per avere la possibilità di fare ispezioni nelle carceri. Una prerogativa legittima che, però, il collaboratore aveva usato per i suoi scopi: avere contatti, secondo l’ipotesi della Dda, coi capimafia e portare all’esterno informazioni. L’uomo veniva retribuito con 50 euro al mese. Una cifra simbolica perché, come era emerso dalle intercettazioni, lo scopo della collaborazione, per Nicosia, che definiva il boss Matteo Messina Denaro “il nostro primo ministro“, per entrare in contatto con i mafiosi. Ai pm che ieri le chiedevano come mai avesse assunto l’indagato, nonostante i suoi precedenti penali – una condanna per traffico di droga, tre per ricettazione e una per appropriazione indebita – Occhionero aveva risposto sostenendo che alla Camera nessuno fa controlli sui collaboratori. Nonostante il contratto fosse scaduto a maggio perché la deputata, insospettita dal singolare curriculum del collaboratore ne aveva accertato la falsità, il tesserino era rimasto nella disponibilità di Nicosia.

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