Prevediamo la possibile implementazione della didattica digitale integrata e flessibilità sugli orari di ingresso e uscita per le scuole superiori per non affrontare una volta per tutte il nodo dei trasporti pubblici, pochi mezzi, spesso vetusti e sovraffollati nelle ore di punta.
Poi c’è chi, come il Presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, chiude le scuole della regione senza aver fatto alcun monitoraggio sui bambini, ordinando la didattica a distanza per tutti fino al 30 ottobre. Il tutto senza sapere se le scuole siano effettivamente il problema.
A poche ore dall’ultimo Dpcm il Paese si scopre ancora insufficientemente preparato alla prevedibile seconda ondata da Covid-19. Vedremo tra qualche settimana quali benefici porteranno le ulteriori strette contenute nel Dpcm illustrato ieri sera in conferenza stampa dal Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, frutto di una mediazione serrata con i Presidenti di Regione e i sindaci.
L’auspicio è ovviamente la più rapida riduzione del numero dei contagi, ma c’è un dato di realtà dal quale non possiamo prescindere: con il Covid-19 saremo costretti a convivere ancora. Ce lo siamo ripetuti per mesi come un mantra ma non sempre siamo stati conseguenti. Affidarci agli auspici non basta, occorre trovare metodi e pratiche di convivenza con il virus che garantiscano, oltre la tenuta economica e sociale del Paese e le libertà individuali e collettive, anche il buon funzionamento delle istituzioni.
In questi mesi in Parlamento si è discusso di tutto. Solo un nodo non è stato affrontato fino in fondo: come garantire il pieno funzionamento di Camera e Senato durante una pandemia che non fa sconti a nessuno. Alla Camera almeno 8 sono i casi accertati in meno di 48 ore (3 capigruppo di maggioranza e opposizione), circa 80 deputati si trovano in quarantena precauzionale o in autoisolamento.
Di fatto è a rischio il plenum dell’Assemblea Parlamentare e con esso il principio stesso su cui si fonda la democrazia. Se un parlamentare non è nelle condizioni di potere esprimere il suo voto una parte di cittadini che egli rappresenta sono tagliati fuori dal processo democratico. Cos’altro serve per utilizzate il voto a distanza? Sarebbe più giusto chiedersi cosa, in questo quadro allarmante, ostacola una misura così di buonsenso.
Ogni settimana 630 deputati si spostano, da ogni parte di Italia, per riunirsi, per almeno 3 giorni, in ambienti chiusi che, nonostante le misure di sicurezza, restano comunque luoghi di assembramento. È sufficiente vedere le immagini del voto sulla nota di aggiornamento del Def con i Ministri accalcati ai banchi del Governo per votare. E questo perché serviva una maggioranza qualificata ed erano già più di 30 i deputati in isolamento.
Ora: vi pare serio che, mentre chiediamo agli studenti l’alternanza tra presenza e didattica a distanza, applichiamo lo smart working nella Pubblica amministrazione e raccomandiamo ai privati di fare lo stesso, anticipiamo le chiusure di bar, pub e ristoranti, prevediamo la possibilità di chiudere strade e piazze per evitare assembramenti, non siamo in grado di varare un regolamento di emergenza che sospenda riti di voto invariati dal 1947 e disponga una modalità di partecipazione ai lavori della Camera da remoto?
Perché si ostacola l’introduzione di strumenti di modernizzazione delle istituzioni che renderebbero tutto più semplice e sicuro? Con i colleghi Lattanzio, Fusacchia, Muroni e Quartapelle lo chiediamo da marzo. Abbiamo scritto al Presidente della Camera e lo abbiamo ribadito in ogni sede: esistono soluzioni che consentono di proteggere la democrazia e il funzionamento delle sue istituzioni, senza venir meno a quanto previsto dalla Costituzione e dai nostri regolamenti parlamentari.
Il collega Stefano Ceccanti, che certamente ha più titoli di me per intervenire sulle materie costituzionali, lo ripete anche oggi in una condivisibile intervista sul Corriere della Sera: “Non esiste alcun impedimento costituzionale per il voto a distanza. La parola ‘presenti’ riportata nell’articolo 64 della nostra Carta può essere tranquillamente intesa come partecipante anche tramite supporti tecnologici”.
Il tema non è proteggere solo i parlamentari, ma permettere al Parlamento di continuare a lavorare sfruttando tutti gli strumenti che la tecnologia mette a disposizione. Se non come norma ordinaria, almeno in questa fase una modalità di lavoro da remoto potrebbe essere introdotta limitatamente alla dichiarazione di stato di emergenza che, attualmente, è prevista fino al 31 gennaio.
Sono sicuro che non sia necessario trascorrere ore e ore in aula per espletare tutte le fasi della discussione generale, delle dichiarazioni di voto, degli ordini del giorno e delle risoluzioni. Se proprio non si vuole riconoscere la necessità di un voto a distanza si potrebbe almeno trasferire online questa parte e limitare la presenza in aula alle sole votazioni indispensabili.
Abbiamo perso del tempo prezioso, proviamo a non sprecarne dell’altro assecondando la palese strumentalità di chi si oppone, per giochi politici di piccolo cabotaggio, all’introduzione di elementi innovativi anche in Parlamento. Arrendersi totalmente alla conservazione sarebbe una sconfitta per la democrazia.