Piercamillo Davigo non è più un componente del Consiglio superiore della magistratura. Il plenum di Palazzo dei marescialli ha decretato la sua decadenza. Il motivo? Dal 21 ottobre l’ex pm di Mani Pulite va in pensione, visto che compirà 70 anni di età. Una condizione che secondo la maggioranza dei consiglieri è incompatibile con la carica di togato. Come era ampiamente previsto, però, il plenum si è spaccato. a decisione è passata con 13 voti a favore, 6 contrari e 5 astensioni. A favore della delibera hanno votato i gruppi di Magistratura Indipendente e di Unicost, il consigliere Nino di Matteo, l’intero Comitato di presidenza (il vice presidente David Ermini, il primo presidente e il procuratore generale della Cassazione, Pietro Curzio e Giovanni Salvi) e i laici Filippo Donati (M5S), Emanuele Basile (Lega), Alessio Lanzi e Michele Cerabona (Forza Italia). Contro si sono espressi tutti i togati di Autonomia e Indipendenza, la corrente fondata dallo stesso Davigo, la togata di Area Alessandra Dal Moro e il laico Fulvio Gigliotti (M5S). Si sono anche astenuti Aberto Benedetti (M5s) Stefano Cavanna (Lega) e i togati di Area Giuseppe Cascini, Giovanni Zaccaro e Mario Suriano. Davigo non ha partecipato alla riunione. Nel 2018 l’ex pm di Milano fu il primo degli eletti prese 2.522 preferenze, raddoppiando i 1100 voti presi nel 2016, quando era stato eletto presidente dell’Associazione nazionale magistrati. Adesso gli subentrerà Carmelo Celentano, esponente di Unicost e primo dei non eletti nelle liste riservate ai giudici di Cassazione.

Già la scorsa settimana la Commissione Verifica Titoli del Csm aveva deliberato sulla decadenza: una decisione passata a maggioranza, con due voti a favore su 3 (della presidente Loredana Miccichè e della consigliera Paola Braggion, entrambe di Magistratura Indipendente) e l’astensione del laico M5S Alberto Maria Benedetti. Una posizione in linea con un parere chiesto all’Avvocatura dello Stato, che propende per la cessazione dalla carica di Davigo. Durante il plenum ha votato per la decadenza anche Di Matteo, eletto al Csm da indipendente ma candidato nelle liste di Autonomia e Indipendenza. “Consentire la permanenza al Csm di chi non è più magistrato sarebbe un atto che violerebbe la ratio e lo spirito delle norme costituzionali” sulla magistratura perchè così si finirebbe con “l’accrescere ingiustificatamente il numero dei componenti non togati a detrimento di ciò che la Costituzione prevede”, ha detto l’ex pm antimafia annunciando il suo voto in consiglio. Una decisione sofferta ma inevitabile per Di Matteo, che ha espresso la sua stima a Davigo che ” lascerà un segno nella storia più recente della magistratura italiana“.

Contrari alla permanenza del pm di Mani pulite al Csm anche il primo presidente e il procuratore generale della Corte di Cassazione, Pietro Curzio e Giovanni Salvi. “Il pensionamento fa venire meno lo status di magistrato e questo comporta il venir meno delle funzioni giudiziarie e quelle di componente del Csm”, ha detto Curzio. “Se la condizione di magistrato viene meno viene meno il rapporto tra laici e togati che la Costituzione prevede per i Csm”, ha aggiunto. Posizione condivisa dal procuratore generale Salvi, che ha parlato di una “necessità derivante da principi costituzionali” e ha sottolineato che “a far parte del Csm non possono che essere magistrati in servizio”. Ha votato per la decadenza pure Ermini, vice presidente del Consiglio secondo il quale: “La Costituzione ci impone di rinunciare all’apporto che Davigo potrebbe ancora dare al Csm”.

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