Si entra a scuola alle nove solo in caso di “situazioni critiche e di particolare rischio”, definite dalle autorità locali, regionali o sanitarie. Il giorno dopo la firma del Dpcm che definisce nuove restrizioni anche per la scuola, il capo dipartimento Marco Bruschi ha preso carta e penna per spiegare ai dirigenti scolastici quando si rende necessario l’ingresso posticipato e l’incremento alla didattica digitale integrata alle superiori. L’ultima versione del decreto del presidente del Consiglio prevede che “le istituzioni scolastiche secondarie di secondo grado adottano forme flessibili nell’organizzazione dell’attività didattica (…), modulando ulteriormente la gestione degli orari di ingresso e di uscita degli alunni, anche attraverso l’eventuale utilizzo di turni pomeridiani e disponendo che l’ingresso non avvenga in ogni caso prima delle 9.00”. Una indicazione contestata proprio dai presidi che non hanno digerito la proposta di ingresso alla nove uscita dal Consiglio dei ministri.
A bocciare l’idea del premier Giuseppe Conte è in primis il presidente dell’Associazione nazionale presidi Antonello Giannelli: “Gli orari di inizio delle lezioni delle scuole secondarie di secondo grado devono tenere conto del contesto: la situazione dei trasporti pubblici nelle aree metropolitane è molto diversa da quella nei piccoli centri. L’orario di ingresso alle 9 può trovare giustificazione nelle grandi aree metropolitane, dove il trasporto pubblico locale è congestionato, ma non nei piccoli centri dove le condizioni sono molto diverse. E’ quindi fondamentale che siano le istituzioni scolastiche autonome a valutare la situazione e a decidere per il meglio”.
Il presidente plaude alla nota della ministra Azzolina inviata nel tardo pomeriggio di oggi: “Riteniamo condivisibili i chiarimenti forniti in merito alla rimodulazione degli orari di ingresso e di uscita e all’orario di avvio delle attività didattiche. Tali misure, comunque, ricadono nell’ambito dell’autonomia scolastica che gode di tutela costituzionale e su cui, ovviamente, non è legittimo né utile transigere. La pretesa di differire rigidamente l’orario di ingresso, peraltro, sarebbe stata irragionevole in quanto avrebbe riguardato indistintamente sedi scolastiche situate in realtà geografiche profondamente diverse tra loro”.
Parole che trovano il sostegno di chi sta sui territori. Salvatore Giuliano, dirigente del “Majorana” di Brindisi ed ex sottosegretario in viale Trastevere in quota 5Stelle, attacca la ministra Paola De Micheli. “Basta con le prese in giro. Perché la scuola deve piegarsi alle inefficienze altrui? Chi doveva occuparsi dei trasporti che ha fatto in sei mesi? Sia chiaro: se i miei alunni continueranno ad arrivare alle 8 perché non saranno loro garantite corse per le nove io li farò entrare a scuola, non li lascerò fuori”. Giuliano è pronto a tutto e racconta: “All’inizio dell’anno scolastico avevo già previsto l’ingresso alle nove, ma i mie alunni dopo una settimana mi hanno riferito che erano costretti a prendere i bus prima perché non c’erano corse. L’Italia non è tutta uguale: l’80% dei miei studenti viene da fuori città e in quelle realtà spesso passa un solo autobus”.
Dello stesso parere Roberta Mozzi a capo dell’istituto più grande della città di Cremona, il “Torriani”: “Il Dpcm è realizzabile solo se i trasporti si adeguano. Se le autorità dovessero ravvisare una situazione per la quale i miei ragazzi devono entrare alle nove, dovrebbero esserci le corse necessarie. Non è la scuola che deve risolvere il problema dei trasporti. Tra l’altro se vengono a scuola più tardi devono uscire anche più tardi: quando arrivano a casa a quel punto? Questi ragazzi hanno diritto anche a una vita oltre a quella scolastica?”. Più blanda Laura Biancato, preside dell’ “Einaudi” a Bassano del Grappa: “In Veneto l’inizio alle nove non risolverebbe nulla. Nel rispetto del Dpcm stiamo pensando di optare anche noi per una didattica a distanza in maniera alternata. Finora, grazie agli spazi sufficienti per assicurare il distanziamento nella mia scuola abbiamo fatto solo lezioni in presenza ma ora dovremo ridurre gli accessi”.
A dare qualche strumento in più per interpretare nella maniera corretta il Dpcm è proprio la nota del ministero che sottolinea come “la disposizione normativa è di carattere generale e fa espresso riferimento agli “specifici contesti territoriali”; pertanto, non dispone in maniera perentoria di modificare l’esistente in assenza di dichiarati stati di criticità o di pericolo. Dove le situazioni territoriali, anche grazie al lavoro concertato durante i mesi estivi, hanno mostrato di funzionare, nulla ha la necessità di essere al momento cambiato, fatte salve eventuali situazioni di criticità da esporre e affrontare ai tavoli regionali”.
Tradotto: l’incremento della didattica a distanza e la rimodulazione degli orari è obbligatorio “solo ed esclusivamente previa comunicazione al Ministero dell’istruzione da parte delle autorità regionali, locali o sanitarie delle situazioni critiche e di particolare rischio riferite agli specifici contesti territoriali”.
Nel tardo pomeriggio di oggi a puntare il dito contro il ministero dell’Istruzione è arrivata anche Lena Gissi, segretaria nazionale della Cisl scuola adirata con la ministra per aver convocato il tavolo previsto dal protocollo sulla sicurezza solo il 30 ottobre: “Procede a rilento la consegna dei banchi; perdurano le difficoltà a coprire i posti docenti e Ata; manca un efficace supporto delle autorità sanitarie, del tutto scoordinate o assenti le misure riguardanti la gestione dei trasporti. Anche l’ultimo Dpcm dà indicazioni che è molto complicato tradurre in atto se le scuole sono lasciate in balia di se stesse. Di fronte a tutto ciò la convocazione per il 30 ottobre, nei tempi che viviamo, o è una provocazione, o è una data fuori dalla realtà”.